Era questo per lui il cammino della Russia, dove era iniziata la grande trasfigurazione del mondo o la morte di esso.
Il
colombo d'argento è un libro
profetico che si pone perfettamente a metà tra lo spirito del secolo d'oro e
quello d'argento della letteratura russa riflettendo le tensioni tra l'anima
ottocentesca da un lato, ancorata alla campagna, alle izbe, ai muzik ed ai riti
immutabili di una religione antica e lo spirito dei tempi nuovi dall'altro, caratterizzato
dallo scoppio deflagrante dei contrasti sociali e dal fiorire di eresie che
intrecciano aspetti filosofici a forme di culto diverse dalle precedenti. Semplificando,
si potrebbe dire che procedendo lungo un ipotetico percorso cronologico questo
libro segue i Demoni di Dostoevskij,
è vicino al Sanin di Arcybašev e precede l'Anno nudo di Pil'njak, raccontando di un mondo nel quale le vecchie
certezze stanno crollando e le nuove sono ancora avvolte nel dubbio.
Lo stile dell'opera può apparire
un po' datato, appesantito da descrizioni fin troppo minuziose e ricche di
aggettivi, con metafore e simboli che ricorrono sovente e uno sperimentalismo
che può sembrare un po' di maniera, troppo visibile, a scapito della
scorrevolezza di una trama che però si sviluppa in maniera superba,
rappresentando alla perfezione il caos delle forze centrifughe che spingono
l'animo umano verso direzioni nuove e contrastanti alla disperata ricerca di
qualcosa a cui attaccarsi, di qualcosa in cui credere. In questo senso la
Russia, con le sue vicende travagliate e dolorose, ha rappresentato una specie
di laboratorio per studiare l'uomo ed i suoi grandi scrittori non si sono lasciati
scappare l'occasione per esercitarsi in questa ricerca.
Tensioni e spinte centrifughe,
si diceva. Bene, tutto questo lo
ritroviamo alla massima potenza nella figura di con Dar'jal'skji, il
protagonista del romanzo, un personaggio nel quale le contraddizioni la fanno
da padrone: ateo dichiarato, con i piedi ben piantati sulla terra, eppure
"alla ricerca dell'enigma della propria alba", sinceramente
innamorato della bella e giovane Katja eppure inspiegabilmente affascinato da
Matrëna, una contadina dal viso sfregiato dalle pustole del vaiolo che lo
attira all'interno della setta del Colombo, "la cui dottrina era tanto
nebulosa e astrusa che era impossibile coglierla nel suo insieme, e quel poco
che si poteva comprendere sembrava irrazionale e spaventoso".
La confusione che regna nell'animo
di Dar'jal'skji non è un unicum, ma semplicemente lo specchio fdele delle
contraddizioni che regnavano all'epoca nella società, al punto che anche la
libertà alla quale anela la gente diventa
"libretà", come a dire che anche gli stessi ideali erano
tutt'altro che chiari (per non dire poi di come venissero perseguiti attraverso
percorsi tutt'altro che univoci).
Si viaggia su un sentiero stretto
e su un terreno che rischia di franare ad ogni passo. Tutto è incerto,
discutibile, la stessa Katja, una ragazzina o poco più, ha una personalità
difficile da decifrare: "era dotata di un intuito sottile per tutto quello
che riguardava la natura e che amava e comprendeva l'arte; ma se aveste cercato
di articolare un vostro pensiero, o fare sfoggio di cultura o d'intelligenza,
tutto sarebbe scivolato oltre senza sfiorarla, avrebbe fatto spallucce e avrebbe
riso di voi. Era intelligente Katja? – si chiede l'autore – Davvero, non
saprei…"
Quella del primo decennio del
Novecento è una Russia che oscilla pericolosamente sull'orlo dell'abisso, con
il presente che è un filo sottile sospeso tra passato e futuro, tra ortodossia
ed eresia, tra cautela e slancio eroico, tra Occidente ed Oriente… troppe
tensioni, troppe spinte in direzioni opposte per pensare di poter evitare un
conflitto sanguinoso tra le diverse anime.
"La Russia cela un mistero
inespresso – dice ad un certo punto lo zia di Katja a Dar'jal'skji, fotografando alla perfezione la
situazione del momento – La Russia è un paese infelice, voi parlate di cose
inespresse; dunque nel vostro animo c'è qualcosa he non potete esprimere: voi, giovanotto, non
siete solo strambo e anche balbuziente, voi siete un infelice, giovanotto, incapace
di parlare, come sono tutti i giovani di oggi; si esprimono in una lingua
gravida di silenzi perché non riescono a spiegarsi in modo articolato. Parlare
di cose inespresse è un sintomo pericoloso; questo dimostra che l'umanità è
regredita a una condizione bestiale; purtroppo oggi tutti sono simili alle
bestie, non solo i russi!".
Nessun commento:
Posta un commento