Una storia comune è un libro sfortunato perché paga inevitabilmente il
confronto con Oblomov, come Gončarov paga quello con Dostoevskij e Tolstoj.
Eppure si tratta di un libro
godibilissimo: anche se a tratti può risultare manierata e priva di profondità,
Una storia comune non è opera da
trascurare tout court ma piuttosto da considerare con attenzione. Intorno alle
figure del giovane Aleksandr Aduev e soprattutto a quella di suo zio Pjotr Ivanyč
(senza trascurare Lizaveta, moglie di quest'ultimo e personaggio tutt'altro che
marginale) si gioca un carosello fatto di contrasti, di diadi che si
intrecciano in un balletto vorticoso: giovani/adulti, vita di campagna/vita in
città, cuore/cervello e soprattutto idealismo/realismo.
Particolarmente interessante e
ricca di ironia sottile è la capacità di Gončarov di condurre la trama fuori
dalle secche dei luoghi comuni, evitando di cristallizzare i contrasti ma anzi
spingendo nel corso della storia i due protagonisti così lontano dalle
posizioni di partenza al punto da farli approdare ad una sorta di originale
contrappasso, disegnando una traiettoria imprevedibile che porterà addirittura
Aleksandr a cercare rifugio nell'atarassia per diventare un
"oblomoviano" ante-litteram.
Attenzione però, perché l'autore
non persegue nessun intento pedagogico con quest'opera. Non ci sono certezze –
sembra dirci Gončarov – le cose succedono indipendentemente dalla nostra
volontà. Nessuna ricetta per la vita che sia valida per sempre e per tutti, ci
vuole capacità di adattamento e, soprattutto, equilibrio tra cuore e cervello.
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