Sokolov è probabilmente il più
interessante degli autori russi contemporanei e con Palissandreide (opera del 1985 e che arriva da noi con colpevole
ritardo) firma una sorprendente e scoppiettante incursione nel postmoderno.
Inutile avventurarsi in una descrizione
della trama, talmente ricca di episodi e personaggi da risultare difficilmente
riassumibile. Diciamo che si tratta di un memoriale tra il picaresco e il
distopico (è ambientato nel 2757, periodo del Nontempo) che narra le vicende di
Palisandr Dal'berg, pronipote di Berija e nipote di Rasputin, da orfano del
Cremlino e maestro di chiavi alla Casa dei massaggi governativa a capo dello
stato e gran maestro dell'ordine supremo; semplificando rozzamente potremmo
dire che si tratta di una presa in giro della gerontocrazia sovietica (il
protagonista è una specie di satiro gerontofilo) che finisce vittima di un
curioso contrappasso con gli eredi dei perseguitati di un tempo che si
ritrovano talora a tiranneggiare i discendenti dei loro aguzzini.
Detto questo, è bene aggiungere
che la trama è la cosa meno importante del libro e che con Palissandreide Sokolov continua il percorso iniziato con La scuola degli sciocchi, 'smonta' cioè il
romanzo spostandone la centralità dalla trama alla scrittura, sviluppando una
ricerca sulle possibilità della parola che a tratti definirei charmsiana. Quella
che ci propone è una lingua ricca, scintillante, con una serie infinita di
doppi sensi, allusioni, citazioni, metonimie e soprattutto con un intertesto
sconfinato che finisce per tracimare dalle pagine e travolgere il testo vero e
proprio, una lingua sulla quale tutto si regge e va da sé che si tratta di un
equilibrio altamente instabile.
Sì perché Sokolov non si
accontenta di giocare solo con lo stile, ma mette in discussione ogni singola parte
del romanzo: gioca con i generi, alternando letteratura alta e popolare,
citando ad esempio pensatori importanti e subito dopo distorcendone il credo
fino a storiella da pettegolezzo, mescola tradizione e innovazione, ortodossia
e folclore, prosa e poesia (è Sokolov stesso ad usare per le sue opere il
neologismo di 'proesia'), passa senza preavviso dalla prima alla terza persona
e dal discorso diretto a quello indiretto, fa saltare il continuum narrativo con
ripetute divagazioni che finiscono per portare il lettore lontano dal punto di
partenza, gioca con le coordinate spazio-temporali e ed anche con i canoni che
definiscono i personaggi al punto che nel corso del romanzo Palisandr si
comporta prima da uomo, poi da albero ed infine da ermafrodito, in piena
sintonia con il pensiero espresso dall'autore che "è il linguaggio che
definisce il carattere dei personaggi", tornando così al punto iniziale,
al linguaggio che regge tutta la costruzione del romanzo.
Palissandreide è un'opera complessa di un autore importante,
speriamo solo di non dover attendere altri trent'anni prima che qualche editore
illuminato decida di pubblicare altro di Sokolov.
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