domenica 6 settembre 2020

Componibile 62 – Julio Cortázar



«Capire, capire… Tu capisci per caso?»

«Non lo so, probabilmente no. Comunque ormai non servirebbe a nulla».

 

Un libro che prende le mosse dal capitolo 62 di Rayuela e in puro stile cortázariano si propone di scardinare le regole del romanzo classico per avventurarsi in terreni non battuti. Lo fa partendo da una frase di stampo oulipiano ("Vorrei un castello insanguinato", aveva detto il cliente corpulento) per dare inizio a una serie di riflessioni su un libro di Michel Butor, su una donna misteriosa (Hélène, o forse una contessa o forse una Frau Marta) e sul caso ("Perché sono entrato nel Polidor, perché ho comprato il libro e l'ho aperto a caso e altrettanto a caso ho letto una frase qualsiasi appena un secondo prima che quel cliente corpulento ordinasse una bistecca quasi cruda?"). Un libro sull'inutile desiderio di capire, sul tentativo di interpretare tutto quello che accade come fosse segno di qualcosa, come traccia da seguire per identificare una pista che in realtà non esiste e che pure ci ostiniamo a cercare.

Si sale per una strada ricca di curve, avviati su meandri pericolosi che puntano dritti verso la palude dei meccanismi interiori, un luogo nel quale memoria e fantasia finiscono per confondersi conducendo la nostra ricerca della conoscenza su un binario morto. Eppure.

Eppure "qualcosa mi lascerai fra le mani", pensa il protagonista. L'uomo non si arrende, non arretra davanti al vuoto e non rinuncia ad interrogarsi, perché vive di domande più che di risposte. La soluzione all'enigma diventa un dettaglio perché quello che interessa l'uomo e lo attrae come la luce la falena è l'enigma stesso. Il modello è Ulisse, il viaggio dell'uomo alla scoperta del mondo e di se stesso.

E il viaggio che ci propone Cortázar -  è bene ribadirlo - non prevede per il lettore comodi scompartimenti di prima classe ma una dura camminata attraverso sentieri impervi con passaggi repentini dalla narrazione interna al  punto di vista esterno, continui cambiamenti di scenario tra Londra, Parigi, Vienna, Mantova… e un frenetico alternarsi di personaggi dei quali si fatica a ricostruire i rapporti e che vivono più di sogni che di realtà, non ancora integrati e organici alla società. Lispectoriano? Forse, ma se l'occhio dell'autrice brasiliana guarda indubbiamente verso l'interno, quello dello scrittore argentino sembra rivolto anche verso l'esterno (la "Città", la "zona"). Lispectoriano? Per certi versi sì, e penso alle riflessioni di Cortázar sulla costruzione da parte dei personaggi del libro di un alfabeto privato, che permette loro di comunicare escludendo gli altri e soprattutto al linguaggio inteso come "arte combinatoria di ricordi e circostanze" che invece di aiutare falsifica al punto che seguendo il suo punto di vista si potrebbe arrivare a definire la vita come una specie di gioco nel quale la colpa della fine della storia d'amore di Juan con Hélène è dovuta ad una lettura sbagliata delle carte, sapendo che "qualcosa che non siamo noi gioca con questo mazzo di carte in cui siamo picche e cuori ma non le mani che le mischiano e le combinano, gioco vertiginoso nel quale riusciamo soltanto a conoscere la sorte che ci tesse e disfa a ogni giocata, la figura che ci precede o ci segue, la sequenza con la quale la mano ci propone all'avversario, la battaglia di azzardi e di scarti che decide la posta e i ritiri". Eppure "io continuerò a cercare il varco, Hélène, tutto mischierò di nuovo per incontrarti come voglio."

Già, il varco. Un passaggio stretto e non per tutti, una specie di porta su un'altra dimensione che permette ai personaggi del libro di incontrarsi a un livello ideale più che reale, su una zattera astratta che galleggia sospesa sul mondo e che rappresenta la loro salvezza ("La nostra salvezza è una vita tacita che ha poca attinenza con il quotidiano o l'astronomico, un influsso spesso che lotta contro la facile dispersione in qualsivoglia conformismo o qualsivoglia ribellione più o meno privi d'iniziativa propria, […] la vita come qualcosa di estraneo di cui bisogna però prendersi cura").

Quello che Juan e gli altri cercano, quello che Cortázar cerca, è in sostanza la libertà. Dalle parole, dai vincoli, dalle convenzioni. Libertà di essere come si è.

Inutile aggiungere altro, così come aggiungere dettagli di una trama che sembra costruita apposta per spostarsi un po' più in là ogni volta che si cerca di avvicinarla o, peggio, di comprenderla. La mia chiave di lettura per avvicinarsi a Componibile 62 è quindi più emotiva che logica e in questo mi sono di conforto le stesse parole di Juan:

"Che senso aveva spiegare? Il semplice fatto che fosse necessario dimostrava ironicamente la sua inutilità".

 

 


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