domenica 20 settembre 2020

L'angelo ancorato – José Cardoso Pires

 


"Selvaggi. Cani, raffinati cani"

 

"L'angelo ancorato non è una fabula a sfondo sociale ma semplicemente una fabula" scrive Cardoso Pires nelle pagine finali di questo romanzo breve. Bene, non fidatevi delle parole dell'autore perché sotto una trama sottile e una scrittura (fintamente?) semplice è nascosta una riflessione sul Portogallo della fine degli anni '50 che va oltre le apparenze.

La storia è quella di una coppia di amici, forse amanti, e di una gita fuoriporta a bordo di un'auto fiammante: lui trascorrerà il pomeriggio a fare pesca subacquea e lei attenderà fumando. Sullo sfondo un gruppo di personaggi minori: un bambino che vende centrini, un "vecchio vecchio" che insegue una pernice per farne la sua cena, un gruppo di persone al bar.

Un racconto di un centinaio di pagine che corrono via veloci ma a soffiare sulla cenere dell'apparenza si scopre che sotto c'è un fuoco che brucia e ci parla degli intellettuali e del loro modo di confrontarsi con la parabola salazarista nel momento in cui essa iniziava a declinare, del loro rapporto con il paese, con un mondo con il quale faticano ad entrare in contatto.

Il linguaggio è il primo strumento che Cardoso Pires utilizza per caratterizzare ognuno dei personaggi e dimostrarci come siano lontani uno dall'altro, e come soprattutto la lingua e il pensiero dei due protagonisti li pongano su un livello distante da quello della gente comune. Protagonisti che a loro volta esprimono due aspetti diversi dell'intellettuale portoghese: João rappresenta il disilluso, quello che ha creduto nel cambiamento fino a quando ha visto naufragare le speranze e ora indossa la maschera del cinico, Guida è il suo contraltare, l'angelo ancorato che prova a difendere il suo sogno, scontrandosi con una realtà con la quale è necessario scendere a compromessi e finendo per incartarsi nell'accettazione di una vita vissuta giorno per giorno. Il secondo strumento sono i simboli attraverso i quali l'autore trasforma la fabula in qualcosa che sembra più vicino a un apologo: l'auto sportiva che sfreccia nel Portogallo più arretrato, la lotta della pernice verso la libertà e quella del vecchio per il cibo, il "mero", sorpreso da João mentre dormiva, essere "rispettato e maestoso" finché si trovava in fondo al mare ma poi sconfitto in uno "scontro impari e privo di gloria".

 

"Quando in un paese non è permesso agire ci si accontenta di pensare, che magnifica soluzione." – chiosa ad un certo punto, sarcasticamente, João e proprio questo sembra essere il nodo cruciale intorno al quale gira la storia: la comoda sublimazione di una situazione da parte di un'intera classe intellettuale pronta a deporre le armi senza averle mai davvero imbracciate.

"Cosa fai domani?" "Non lo so. E tu?". Sono le parole che chiudono il romanzo, specchio di una passività travestita da impotenza che finisce per risolversi in comoda autoassoluzione. Una passività che Cardoso Pires condanna, un'abdicazione al proprio ruolo che l'autore stigmatizza attraverso le parole affilate di un oste, un uomo del popolo, che nel momento in cui João e Guida sfrecciano sulla loro decapottabile rossa attraverso il paese rischiando di investire un ragazzino non può far altro di apostrofarli come "Selvaggi. Cani, raffinati cani".

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