"Selvaggi. Cani, raffinati cani"
"L'angelo
ancorato non è una fabula a
sfondo sociale ma semplicemente una fabula" scrive Cardoso Pires nelle
pagine finali di questo romanzo breve. Bene, non fidatevi delle parole
dell'autore perché sotto una trama sottile e una scrittura (fintamente?)
semplice è nascosta una riflessione sul Portogallo della fine degli anni '50
che va oltre le apparenze.
La storia è quella di una coppia
di amici, forse amanti, e di una gita fuoriporta a bordo di un'auto fiammante:
lui trascorrerà il pomeriggio a fare pesca subacquea e lei attenderà fumando.
Sullo sfondo un gruppo di personaggi minori: un bambino che vende centrini, un
"vecchio vecchio" che insegue una pernice per farne la sua cena, un
gruppo di persone al bar.
Un racconto di un centinaio di
pagine che corrono via veloci ma a soffiare sulla cenere dell'apparenza si
scopre che sotto c'è un fuoco che brucia e ci parla degli intellettuali e del
loro modo di confrontarsi con la parabola salazarista nel momento in cui essa iniziava
a declinare, del loro rapporto con il paese, con un mondo con il quale faticano
ad entrare in contatto.
Il linguaggio è il primo strumento
che Cardoso Pires utilizza per caratterizzare ognuno dei personaggi e
dimostrarci come siano lontani uno dall'altro, e come soprattutto la lingua e
il pensiero dei due protagonisti li pongano su un livello distante da quello
della gente comune. Protagonisti che a loro volta esprimono due aspetti diversi
dell'intellettuale portoghese: João rappresenta il disilluso, quello che ha
creduto nel cambiamento fino a quando ha visto naufragare le speranze e ora indossa
la maschera del cinico, Guida è il suo contraltare, l'angelo ancorato che prova
a difendere il suo sogno, scontrandosi con una realtà con la quale è necessario
scendere a compromessi e finendo per incartarsi nell'accettazione di una vita
vissuta giorno per giorno. Il secondo strumento sono i simboli attraverso i
quali l'autore trasforma la fabula in qualcosa che sembra più vicino a un
apologo: l'auto sportiva che sfreccia nel Portogallo più arretrato, la lotta
della pernice verso la libertà e quella del vecchio per il cibo, il
"mero", sorpreso da João mentre dormiva, essere "rispettato e
maestoso" finché si trovava in fondo al mare ma poi sconfitto in uno
"scontro impari e privo di gloria".
"Quando in un paese non è
permesso agire ci si accontenta di pensare, che magnifica soluzione." –
chiosa ad un certo punto, sarcasticamente, João e proprio questo sembra essere
il nodo cruciale intorno al quale gira la storia: la comoda sublimazione di una
situazione da parte di un'intera classe intellettuale pronta a deporre le armi
senza averle mai davvero imbracciate.
"Cosa fai domani?"
"Non lo so. E tu?". Sono le parole che chiudono il romanzo, specchio
di una passività travestita da impotenza che finisce per risolversi in comoda
autoassoluzione. Una passività che Cardoso Pires condanna, un'abdicazione al
proprio ruolo che l'autore stigmatizza attraverso le parole affilate di un
oste, un uomo del popolo, che nel momento in cui João e Guida sfrecciano sulla
loro decapottabile rossa attraverso il paese rischiando di investire un
ragazzino non può far altro di apostrofarli come "Selvaggi. Cani,
raffinati cani".
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