sabato 19 aprile 2014

Bohumil Hrabal - Una solitudine troppo rumorosa


Eccone un altro. 
Ogni tanto saltano fuori. 
 In mezzo a prati dove fioriscono capolavori ed opere dozzinali, buone cose e porcherie... ecco, ogni tanto, spuntare un libro “diverso”, difficile da definire. 
Uno di quei libri che arrivano diritti non alla testa, né al cuore, né allo stomaco, ma proprio lì, un lì che non so definire esattamente dove sia ma che esiste, perché leggendo Hrabal ti accorgi subito che qualcosa dentro di te è stato toccato, avverti una vibrazione particolare lì da qualche parte. 
Ci vorrebbe un gruppo apposta per questa roba qui, su Anobii, o magari c'è già. Penso a “roba” come “Che tu sia per me il coltello”, “La scuola degli sciocchi”, “Norwegian wood” e altro ancora..., libri per noi astigmatici della realtà, per noi che ogni tanto amiamo confonderci, per me che “quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiassi a lungo un bicchierino di liquore, finché quel pensiero in me si scioglie come alcool, si infiltra dentro di me così a lungo che mi sta non soltanto nel cuore e nel cervello, ma mi cola per le vene fino alle radicine dei capillari”, ma poi magari penso che questi sono libri che hanno smosso qualcosa lì dentro solo a me e non ad altri, per cui meglio lasciar perdere. 
Una solitudine troppo rumorosa, dicevo, è un libro speciale. Un libro sui libri e con i libri, nel quale il libri non sono un luogo dove rinchiudersi, ma un modo per aprire i confini, per vivere in un universo nel quale le cose, gli oggetti, gli animali hanno la stessa identità degli uomini, sono porte che si aprono su un altro mondo, quello che Henta, “artista e spettatore al tempo stesso”, ha dentro. Ciò comporta, fatalmente, che anche l'idea di umanità di Henta sia diversa da quella degli altri, di quelli che ha intorno. Umanità per Henta è avere un contatto non asettico ma fisico, quasi “carnale” con gli oggetti. Ed è un'umanità sorprendente, fatta anche di zingari che scattano fotografie con macchinette senza pellicola (perché “al mondo non dipende proprio nulla da come le cose finiscono, ma tutto è soltanto desiderio, volere, anelito”) e di professori di estetica alla ricerca di una “felicità diversa”. Ma non solo, Una solitudine troppo rumorosa è un libro che parla anche di surmolotti e delle loro lotte che si consumano nel sottosuolo, di pacchi di carta pressata che contengono verità, sogni ed illusioni, di una Grecia che non esiste come tale ma come luogo della mente (l'idea di Grecia che Hanta ha in testa), e di simboli, metafore e citazioni alte (da Gesù a Lao Tze, a Schopenauer), un libro dove distruggere è anche e soprattutto creare. 
Potere della scrittura: a proposito di Una solitudine troppo rumorosa Hrabal diceva “non ho tentato di scrivere null'altro se non che da noi un'epoca finiva e un'altra cominciava”, ecco, a me invece è arrivato molto di più, forse ciò che volevo sentirmi dire, ciò di cui avevo bisogno.

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