sabato 5 settembre 2009

Elogio della noia

niente di rilevante
niente di memorabile
avviene
soltanto essere ed esserci
ad ampio raggio
diffusa lontananza
la scala scende
i rumori si offuscano e riducono
sibilo
appena
vaghe risonanze
s'attutisce la gamma
le ansie son sedate
tutto tace
dove sono?
chi sono?
tenue aspettativa
ascolto il mio polso
sfiorare di foglie
carte sfogliate
o stropicciate
ascolto nella calma
i suoni declinanti
bisbiglio remoto
nel mutismo della notte cieca
mondo a riposo
rumore di fondo
niente succede nessuno
soltanto il tuo trascorrere
niente succede
a parte
il tuo transito
dimuniure l'avanzare
ritardare il tuo accadere
guadagnare tempo di vita
ciò che si intravede
forse
ciò che si avvicina e non si vede
ciò che si intuisce e non si tocca
abbandonarsi
lasciarsi possedere dal diffuso riposo
non più contenitore
acqua stagnante e basta
registro in bianco
non più catena di avvenimenti
bensì il tuo vago deambulare
lenta stella sospesa
la nuvola
prima di disssiparsi
prima di perdersi
nell'aria indistinta del tuo sogno.
[Saùl Yurkievich: "Sogno dell'occhio e dello specchio"]

mercoledì 2 settembre 2009

Non essendo che uomini

Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi
Spauriti, pronunciando silabe sommesse
Per timore di svegliare le cornacchie,
Per timore di entrare
Senza rumore in un mondo di ali e di stridi.

Se fossimo bambini potremmo arrampicarci,
Catturare nel sonno le cornacchie, senza spezzare un rametto,
E, dopo l'agile ascesa,
Cacciare la testa al di sopra dei rami
Per ammirare stupiti le immancabili stelle.

Dalla confusione, come al solito,
E dallo stupore che l'uomo conosce,
Dal caos verrebbe la beatitudine.

Questa, dunque, è leggiadria, dicevamo,
Bambini che osservano con stupore le stelle,
E' lo scopo e la conclusione.

Non essendo che uomini, camminavamo tra gli alberi.

[Dylan Thomas: "Poesie inedite"]

domenica 30 agosto 2009

Quel che si dice un finale (2)

[...] A quel punto Laura ha alzato lo sguardo per incrociare il mio. Era uno sguardo penetrante e il cuore ha rallentato i battiti. Mi ha fissato negli occhi per quello che mi è parso un lungo periodo e poi ha annuito. Non ha fatto altro, è stato il suo unico segnale, ma è bastato. Era come se mi stesse dicendo: Non ti preoccupare, supereremo anche questa, andrà tutto bene, vedrai. Pian piano, tutto s'aggiusta. Ad ogni modo, così ho scelto di interpretare quello sguardo, anche se può darsi mi sbagliassi.
La doccia ha smesso di scorrere. Dopo un attimo, ho sentito Herb fischiettare aprendo la porta del bagno. Ho continuato a guardare le donne accanto al tavolo. Terri stava ancora piangendo e Laura le carezzava i capelli. Sono tornato a guardare fuori dalla finestra. La striscia azzurra del cielo aveva ceduto e stava diventando scura come il resto. Mi erano apparse le stelle. Ho riconosciuto Venere e oltre, di lato, non altrettanto luminoso ma inconfondibile, laggiù sull'orizzonte, Marte. Il vento s'era rafforzato. Ne ho osservato gli effetti sui campi deserti. Irrazionalmente ho pensato che era un peccato che i McGinnis non tenessero più cavalli. Volevo immaginare cavalli in corsa attraverso quei campi nel crepuscolo, o magari anche fermi in piedi con le teste in varie direzioni, accanto alla staccionata. Sono rimasto alla finestra, in attesa. Sapevo che dovevo star lì fermo ancora per un pò, continuare a puntare lo sguardo là fuori, oltre la casa, fintanto che c'era ancora qualcosa da vedere.
[Raymond Carver: "Principianti"]

sabato 29 agosto 2009

Quel che si dice un finale (1)


[...] Tutto questo successe a Crescent City, in California, vicino al confine con l'Oregon. Poco tempo dopo me ne andai altrove. Ma oggi mi è tornato in mente quel posto, Crescent City, e il mio tentativo di rifarmi una vita lì con mia moglie, e come, proprio su quella poltrona di barbiere, quella mattina, avessi deciso di andarmene senza neanche voltarmi. Oggi stavo ripensando alla calma che m'aveva invaso quando avevo chiuso gli occhi e avevo lasciato che quelle dita mi passassero tra i capelli, al tocco triste di quelle dita, ai capelli che già stavano cominciando a ricrescere.

[Raymond Carver: "Principianti"]

mercoledì 26 agosto 2009

La solita vecchia storia

La schiena sulla roccia e la roccia sopra al mare
immobile come insetto che sentendosi osservato
trattiene il gesto per ingannare l’occhio,
accordi il tuo respiro alla risacca
e chiudi gli occhi e vedi.


Vedi il tuo corpo disteso e un altro te che osserva
sei dentro il quadro e fuori
ovunque e in nessun dove.


La solita vecchia storia,
di te sul punto di
e di lasciarti andare
che invece torni indietro e ti nascondi
dietro i “se” e i “ma”, “forse” e “domani”.


La solita vecchia storia
di te che ti avvicini e ti allontani
di te che in parte vivi
e in parte aspetti.


[Lars W. Vencelowe: "Mater Mare"]