mercoledì 4 aprile 2012
domenica 1 aprile 2012
Giocare con i sogni
Vivere
in un sogno, o meglio: vivere di sogni. Sempre, anche nella vita di
tutti i giorni. Fissarsi obiettivi lontani, troppo lontani, e
perseguirli come se fossero realizzabili. E’ come un gioco.
Ho
sempre avuto questa sensazione sin da piccolo: per dedicarmi con
successo a qualche impresa, per riuscire bene in quello che faccio,
non potevo accettare imposizioni, dovevo essere io a decidere tempi e
modi ma soprattutto vivere la cosa come un gioco.
Ed
ancora oggi è così. Gioco tutti i giorni. Nella vita reale,
creandomi mete irraggiungibili. Nella scrittura, costruendo un mondo
parallelo. Alla sera, prima di dormire, quando mi immagino vite che
non vivrò mai. Probabilmente c’è una parola per definire tutto
questo, si chiama immaturità.
Lo so. E me la tengo ben stretta.
[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]
sabato 31 marzo 2012
Una barca chiamata poesia
C'era una volta una
barca.
Era una barca semplice,
quattro assi di legno ed una vela di tela grezza, di quelle che i
marinai dovevano ricucire alla fine di ogni viaggio. La barca serviva
per trasportare merci, persone ed informazioni attraverso il mare e
visse il suo periodo di notorietà - più o meno lungo - prima di
essere fatalmente soppiantata da altri mezzi di comunicazione più
comodi, più efficienti, più capienti e più rapidi.
Ma la barca non scomparve
del tutto: ridimensionata ma non vinta, riuscì a rimanere a galla
ritagliandosi un ruolo diverso. Non potendo competere con gli aerei e
neppure con le navi moderne, la piccola barca si specializzò nel
trasporto di merci particolari, che non fossero rapidamente
deperibili (la barca era infinitamente più lenta dei suoi rivali) e
che soprattutto non trovavano posto sugli altri mezzi. Col tempo la
barca divenne traghettatrice di idee.
Passarono gli anni e
qualcuno pensò che la barca fosse un po' troppo spartana, che i
tempi cambiano e che anche lei avrebbe dovuto adattarsi. Così si
procedette a modificarne la struttura cercando di mantenerne
inalterata l'identità.
Ogni capitano si sforzava
di aggiungere o togliere qualcosa, per rendere originale la sua
imbarcazione lavorando sulle vele, modificandone il colore, i
materiali, la forma ed il loro numero, ma anche sulla forma della
prua e della poppa, sui tipi di legname e sulle dotazioni di bordo,
finendo fatalmente per dimenticare lo scopo per il quale era stata
concepita. I capitani passavano sempre più tempo a ritoccare i loro
gioielli, ad ammirarli, a dirsi come erano belli ed importanti e
fatti bene, a farsi i complimenti uno con l'altro ed a guardare con
sospetto crescente i nuovi, quelli che venivano da fuori e
cercavano di avvicinarsi ad un mondo che loro consideravano privato,
per soli iniziati, un mondo del quale i capitani erano ad un tempo
custodi ed interpreti, una specie di club esclusivo che non accettava
altri iscritti.
In breve successe che le
barche, sempre meno e quasi tutte uguali, continuarono a solcare il
mare, tutte belle ed eleganti, molte (purtroppo) con le stive
semi-vuote.
[Leonard Jacob: "Favole"]
mercoledì 28 marzo 2012
domenica 25 marzo 2012
Nel punto della possibilità
Sai cosa vorrei io veramente?
Non che tu fossi me, nemmeno per sogno. Piuttosto, che rimanessi in quel punto, nel punto della possibilità. Non a lungo, solo per un attimo, prima di "decidere" chi sarai davvero, chi sarai tra noi due.
Ovviamente vorrei che decidessi di essere te stesso, sennò che gusto ci sarebbe? (di "me" ne ho già abbastanza!).
Ma vorrei che indugiassi un momento prima di separarti da me, in quel crocevia immaginario fra me e te.
Quell'indugio capisci?, rappresenta un mondo intero.
E avrei un terzo desiderio (se ne possono esprimere tre): vorrei che entrambi, in un cantuccio dell'anima, provassimo sempre un po' di rammarico per aver scelto di essere solo noi stessi.
[David Grossman: "Che tu sia per me il coltello"]
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