domenica 3 giugno 2012

Mértola


C’erano sogni che Maria faceva con una certa frequenza: un gruppo di case, o una Chiesa, o un castello e lei che passeggiava, da sola, per questi posti. Fin qui niente di strano. Lo strano era che questi sogni si ripetevano; quei luoghi potevano apparire ora in maniera più precisa, ora più vaga, ma erano sempre gli stessi, non cambiavano mai e non corrispondevano a nessuno che lei conoscesse.
Due sere prima, ad esempio, aveva sognato il castello. Questa volta si trovava sui bastioni da dove poteva dominare con lo sguardo tutta la vallata, quel panorama che col tempo le era diventato familiare: colline basse e povere di vegetazione, un agglomerato non molto esteso di case bianche con i tetti rossi e poi il fiume, poco distante. 

Un altro sogno che Maria faceva di frequente era quello della strada. Dovevano essere le prime ore del pomeriggio e Maria camminava lungo questa strada sotto un sole estivo. Il cielo era una tavola di un blu luminoso ed uniforme, senza una nuvola, il silenzio interrotto solo dal rumore dei suoi tacchi sui sanpietrini che pavimentavano la via. Intorno non c’era nessuno, non una macchina, non un cane, lontano solo il frinire delle cicale.

Il castello del sogno aveva una grande torre ed altre torrette più piccole di difesa. Una porta ad arco apriva in una sala con il soffitto a volta, attraverso un corridoio di roccia si accedeva alla piazza d’armi, nel mezzo della quale c’era una costruzione cilindrica semi-diroccata: un pozzo, forse una cisterna.












A volte Maria sognava la Chiesa. Una Chiesa strana, diversa da quelle alle quali era abituata, bianchissima all’esterno con grandi merloni e torrette cilindriche. Non la tipica Chiesa a pianta rettangolare, ma una Chiesa quadrata, con un grande salone centrale e due navate laterali. A volte passeggiava lungo le navate addobbate con i pannelli che raffiguravano le stazioni della Via Crucis, altre volte arrivava fin davanti all’altare, dietro al quale c’era una nicchia contornata da strani pilastri arabeggianti.

[Lars W. Vencelowe: "Prove di fuga"]



sabato 2 giugno 2012

Paul Buchanan - Mid Air


Attenzione: probabilmente questo è il CD più importante dell'anno. Forse del decennio.

domenica 27 maggio 2012

Dimissioni dalla lotta




Sono piovuto su un mare d’argento
un giorno di brezza leggera.
Intorno a me persone in maschera
nuotavano da millenni
rincorrendo bolle di sapone
che un vento capriccioso
spingeva un po’ più in là.
Il cielo era vestito dalle voci
di gente che chiedeva,
ma il suono del mare
copriva le risposte.
La riva era un miraggio
che si dissolveva
quando credevi
di averlo raggiunto.

Ho provato a seguirli,
ho rincorso oggetti e idee
cambiando più volte direzione.
Ho cercato rifugio
nelle profondità marine
per nascondermi dagli altri.
Ma ogni volta che il fondo
sembrava a portata di mano
mi spingeva via
ed io tornavo a galla
deluso e senza fiato.

Per soddisfare la sete dei miei sogni
non ho trovato nient'altro
che un contagocce consumato.
Stanco di girare in tondo
e di vagare senza meta
ho ammainato le vele
e mi sono arreso.
Sdraiato sul dorso
ho smesso di nuotare.

Dimesso dalla lotta
mi sono lasciato portare.

[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]

sabato 26 maggio 2012

1 OTTOBRE 1970



1 Ottobre 1970, primo giorno di scuola. Ed io sbagliavo classe.
Un caso? Sicuramente. Ma forse anche un segno per dire: io sono così.
Così come? Così. Diverso. Che sia vero o no non ha alcuna importanza. Quello che importa è che mi sento diverso, e tanto basta. 
Sono quello che sento, non quello che gli altri cercano di convincermi che io sia, questo è il punto.
E non è bello sentirsi diversi. Ci si sente a disagio.
La diversità è un fardello pesante da portare, è merce che va trattata con delicatezza, perché diversità fa rima con fragilità. 
La diversità non puoi comunicarla a parole, e del resto sarebbe fatica inutile: solo un altro animo simile può riconoscerla.
La diversità è solitudine. Non ha senso esibirla, anzi. La si coltiva nel proprio cuore e la si nasconde a chi non capirebbe.
E così ho fatto. Ho cercato di stare nel gruppo, di confondermi, di annullarmi nella massa, di rendermi invisibile. Ho cercato di essere quello in fondo nelle foto, quello dietro a tutti. Ho giocato a mascherarmi, a fingere di essere come gli altri. Fino a quando? Per sempre, credo.
Mi sento irredimibile, condannato da me stesso ad una doppia vita: anonima quando sono tra la gente ed immaginifica quando sono nel mio mondo. E’ un modo di vivere un po’ complicato, ma che per ora funziona.
Ad una sola cosa devo stare attento, a non mescolare mai i due mondi. Temo che potrebbero saltare tutti gli equilibri che mi sono faticosamente costruito.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]