C’erano
sogni che Maria faceva con una certa frequenza: un gruppo di case, o una Chiesa, o un
castello e lei che passeggiava, da sola, per questi posti. Fin qui
niente di strano. Lo strano era che questi sogni si ripetevano; quei
luoghi potevano apparire ora in maniera più precisa, ora più vaga,
ma erano sempre gli stessi, non cambiavano mai e non corrispondevano
a nessuno che lei conoscesse.
Due
sere prima, ad esempio, aveva sognato il castello. Questa volta si
trovava sui bastioni da dove poteva dominare con lo sguardo tutta la
vallata, quel panorama che col tempo le era diventato familiare:
colline basse e povere di vegetazione, un agglomerato non molto
esteso di case bianche con i tetti rossi e poi il fiume, poco
distante.
Un
altro sogno che Maria faceva di frequente era quello della strada.
Dovevano essere le prime ore del pomeriggio e Maria camminava lungo
questa strada sotto un sole estivo. Il cielo era una tavola di un blu
luminoso ed uniforme, senza una nuvola, il silenzio interrotto solo
dal rumore dei suoi tacchi sui sanpietrini che pavimentavano la via.
Intorno non c’era nessuno, non una macchina, non un cane, lontano
solo il frinire delle cicale.
Il
castello del sogno aveva una grande torre ed altre torrette più
piccole di difesa. Una porta ad arco apriva in una sala con il
soffitto a volta, attraverso un corridoio di roccia si accedeva alla
piazza d’armi, nel mezzo della quale c’era una costruzione
cilindrica semi-diroccata: un pozzo, forse una cisterna.
A
volte Maria sognava la Chiesa. Una Chiesa strana, diversa da quelle
alle quali era abituata, bianchissima all’esterno con grandi
merloni e torrette cilindriche. Non la tipica Chiesa a pianta
rettangolare, ma una Chiesa quadrata, con un grande salone centrale e
due navate laterali. A volte passeggiava lungo le navate addobbate
con i pannelli che raffiguravano le stazioni della Via Crucis, altre
volte arrivava fin davanti all’altare, dietro al quale c’era una
nicchia contornata da strani pilastri arabeggianti.
[Lars W. Vencelowe: "Prove di fuga"]
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