domenica 14 ottobre 2012

Cercare le parole


Man mano che avanzava l'inverno, avevo la sensazione che i suoi occhi fossero diventati ancora più trasparenti. Ma nella loro trasparenza non si intravedeva nessun punto d'arrivo. Di tanto in tanto Naoko, senza alcuna ragione apparente, mi guardava fisso negli occhi come se cercasse qualcosa, e ogni volta mi prendeva una strana sensazione di tristezza e di impotenza.
Forse vorrebbe dirmi qualcosa, cominciai a pensare. Solo che Naoko non riesce bene a esprimere le cose a parole. No, il problema viene prima. E' dentro di sé che lei non riesce ad afferrare le cose. E' questa la prima ragione per cui non trova le parole, pensavo. E allora gioca continuamente con fermaglio, si asciuga le labbra con il fazzoletto, mi scruta a lungo negli occhi senza una precisa ragione. A volte pensavo anche che avrei voluto stringerla forte tra le braccia, ma esitavo e alla fine rinunciavo. Temevo che questo gesto avrebbe potuto sconvolgerla. Così continuavamo a camminare per le strade di Tokyo come sempre, e lei continuava a cercare le parole in quel suo spazio vuoto.


[Murakami Haruki: "Norwegian wood"]

sabato 13 ottobre 2012

Guida tu


Mi commuovo di dettagli, il ferro ruggine
che si attorciglia sulla vite,
il verderame su un muro storto,
l'accensione delle zucche nel minuscolo
orto in fondo alla dolina,
sulla strada che attraversa la mattina
da Motovun (Montona) - per festoni di quercioli
e morsi di terra rossa - a Visinada.
Mi commuovo di istanti, mentre cresce
dentro il tepore dei colori un alito
gelido d'ansia, che si fa allarme e soffia
più forte, fino a mostrarsi terrore
e imminenza di catastrofe.
Nulla ripara la lesione
del giorno appena incorniciato, nessun fuoco
arde l'ora deforme - voi di sonni
marci, di imprecazioni, voi di felicità
irrinunciabile, bagliori accerchianti,
contate nelle mie tasche i soldi, gli anni
e le lacrime.

[Gian Mario Villalta: "Vedere al buio"]

domenica 7 ottobre 2012

Pomeridiano

Le galline piluccavano ancora per la strada. La vecchia moglie del capitano
sedeva sulla soglia reggendo il nipotino sulle ginocchia aperte. 
Un ragazzo trasportava un paniere. Le case
caotiche di fronte al tramonto, coi loro vecchi bauli,
i letti di ferro, i tavoli, i quadri. Un grammofono
suonava rauco in una stanza chiusa. Le lenzuola
avvolgevano in ampi quadrati la propria storia. Non si sentiva il mare.
Una grande mano invisibile sollevava le sedie
due palmi da terra. Come fanno gli uomini a vivere senza la poesia?

[Ghiannis Rotsos: "Il funambolo e la luna"]

sabato 29 settembre 2012

Storia parziale della cause perse

“Quando ci si ritrova a giocare una partita che si sa di perdere, qual'è il modo giusto di procedere?”, o, in altre parole, cosa succede quando ci si scontra con i propri limiti, quando si affronta una sconfitta certa? 
Questo è l'assunto, indubbiamente originale, del romanzo d'esordio di Jennifer Dubois. Questa è la domanda che il padre di Irina, malato di una grave forma di Corea, vorrebbe porre ad Alexsandr Bezetov (lo scacchista famoso la cui figura sembra ritagliata su quella di Kasparov), questa la domanda alla quale Irina (affetta dalla stessa malattia) cercherà di avere risposta. 
E di risposte nel corso del romanzo ne troveremo diverse, tante quante le cause perse che ci vengono proposte. 
Sia Irina che Alexsandr inizialmente proveranno a fuggire, a non giocare le rispettive partite, mettendo la sordina alle emozioni e rifugiandosi in una solitudine fatta di anedonia. Sarà una ferita il grimaldello che li costringerà a muoversi, a spezzare il meccanismo della paura per dare un senso alle loro vite. Quando si apriranno finalmente all'esterno, si troveranno ad affrontare avversari imbattibili (la malattia in un caso ed il potere di Putin nell'altro) ma riusciranno a dare una risposta alla domanda iniziale, a comprendere cioè che accettare l'ineluttabile non vuol dire rinunciare a giocare, perché quando si sa di perdere non è necessario credere di vincere, ma immaginare che ciò sia possibile
Mi risulta abbastanza difficile dare un giudizio su questo libro. L'idea è che si tratti di un'opera interessante ma che ci fossero tutte le premesse per fare meglio; secondo me con il materiale a disposizione la Dubois avrebbe potuto tirare fuori un romanzone di stampo Ottocentesco. L'eccessiva “scorrevolezza”, la scrittura anche troppo lineare (sembra quasi una sceneggiatura già pronta per un film) rappresenta un po' un limite, i personaggi secondari (Elizaveta, Nina...) poi avrebbero potuto essere sviluppati meglio, così come la Russia avrebbe potuto essere restituita in maniera più veritiera, magari marcando meglio il dualismo Mosca – San Pietroburgo. Un'ultima pecca la individuerei in qualche luogo comune di troppo (penso ad esempio agli italiani con i capelli imbrillantinati che guardano il seno delle donne...). Peccati veniali. Nel complesso un ottimo romanzo d'esordio, però, forse...