sabato 13 aprile 2013

La Cacania


Così da tempo si è giunti necessariamente al concetto di una specie di città super-americana, dove tutti corrono o s’arrestano col cronometro in mano. Aria e terra costituiscono un formicaio, attraversato dai vari piani delle strade di comunicazione. Treni aerei, treni sulla terra, treni sotto terra, posta pneumatica, catene di automobili sfrecciano orizzontalmente, ascensori velocissimi pompano in senso verticale masse di uomini dall'uno all'altro piano di traffico; nei punti di congiunzione si salta da un mezzo di trasporto all'altro, e il loro ritmo che tra due velocità lanciate e rombanti ha una pausa, una sincope, una piccola fessura di venti secondi, succhia e inghiotte senza considerazione la gente, che negli intervalli di quel ritmo universale riesce appena a scambiare in fretta due parole. Domande e risposte ingranano come i pezzi di una macchina, ogni individuo ha soltanto compiti precisi, le professioni sono raggruppate in luoghi determinati, si mangia mentre si è in moto, i divertimenti sono radunati in altre zone della città, e in altre ancora sorgono le torri che contengono mogli, famiglia, grammofono e anima. Tensione e distensione, attività e amore sono ben divisi nel tempo e misurati secondo esaurienti ricerche di laboratorio. Se svolgendo una qualsiasi funzione s’incontrano difficoltà, si desiste subito, perché si trova un’altra cosa, oppure un metodo migliore, o ancora vi sarà un altro che s’incaricherà di scoprire la strada giusta […]. La meta è posta a breve distanza; ma anche la vita è breve, e così si ottiene un massimo di buoni successi; di più non occorre all'uomo per essere felice, perché il successo conseguito foggia l’anima, mentre quello a cui si aspira senza ottenerlo la storce soltanto; per essere felici non ha importanza lo scopo prefisso, ma solo il fatto di raggiungerlo. […] Si direbbe che ad ogni istante noi abbiamo in mano gli elementi, e la possibilità di fare un progetto per tutti. […] Ma purtroppo non è affatto così. Siamo noi, invece, in balia della cosa. Giorno e notte viaggiamo dentro ad essa e vi svolgiamo ogni nostra attività; ci si rade, si mangia, si ama, si leggono libri, si esercita la propria professione, come se le quattro pareti stessero ferme, e l’inquietante è che le quattro pareti viaggiano, senza che ce ne accorgiamo, e proiettano innanzi le loro rotaie come lunghi fili adunchi e brancolanti, senza che noi sappiamo verso qual meta. E per di più si vorrebbe possibilmente far parte delle forze che menano il treno del tempo. È un compito assai indefinito, e quando si guarda fuori dopo un lungo intervallo si ha l’impressione che il paesaggio sia mutato; ciò che fugge davanti ai finestrini, fugge perché non può essere altrimenti, ma sebbene noi siamo sottomessi e rassegnati ci domina sempre più l’impressione sgradevole di aver già oltrepassato la meta o di aver imboccato la linea sbagliata. E un bel giorno ecco il bisogno frenetico: scendere! Saltar giù! Un desiderio di esser ostacolati, di non più evolversi, di restar fermi, di tornare indietro al punto che precede la diramazione sbagliata.

[Robert Musil: "L'uomo senza qualità"]

sabato 6 aprile 2013

Richard Yates – Revolutionary Road



Un romanzo del 1961 che ci parla di coppie e di persone in crisi.
Frank ed April, i protagonisti, camminano sul filo, in bilico tra la realtà per com'è e le loro aspettative, sospesi tra quello che vorrebbero essere e la paura di somigliare agli altri (“le circostanze economiche potevano obbligarti a vivere in un ambiente del genere, ma ciò che contava era non farsi contaminare. L'importante era, sempre, ricordare chi eri”).
La galleria di individui che ci presenta Yates è fatta da persone che non comunicano. O perché non sanno farlo e allora invece di andare verso l'altro cercano più o meno inconsciamente di sopraffarlo, di imporgli il loro punto di vista o perché ci hanno rinunciato, come il marito della signora Givens che usa l'apparecchio acustico per connettersi e sconnettersi a piacimento da ad un mondo che si limita ad osservare.
La vita è una recita e gli attori non sembrano all'altezza del ruolo che sono chiamati ad interpretare, e proprio il fatto di non riuscire ad affrancarsi da una realtà che criticano aspramente sarà la molla in grado di trasformare la commedia in dramma.
Nessuna luce è possibile alla fine del tunnel, nessuna speranza, solo l'amara constatazione che la realtà è quella che è. Impossibile cambiarla.

sabato 23 marzo 2013

Platone - Simposio


(è) l'amor che move il sole e l'altre stelle 

 Dialogo platonico di bellezza ed importanza straordinarie. Una cena a casa di Agatone è il pretesto per parlare di Eros con ospite ed invitati che fanno a gara a tessere gli elogi della divinità, poi prende la parola Socrate e subito c'è uno scarto. Il suo modo di affrontare l'argomento è radicalmente diverso da quello di chi lo aveva preceduto, con la dialettica che gli è propria ci prende per mano e poco per volta ci fa entrare all'interno di un mondo che neppure immaginavamo esistesse. A sorpresa, però, a dirci la verità su Eros in un dialogo di soli uomini non sarà Socrate ma una donna, una veggente di nome Diotima, della quale il filosofo ateniese riferisce il pensiero. Eros è un demone, una figura del mito a metà strada tra gli dei e gli uomini, un trait d'union tra i due mondi. Figlio di Poros (la strada, la ricerca) e di Penìa (la povertà) incarna le qualità dei genitori, per cui è povero e bisognoso, ma sempre in cerca di ciò che è bello e buono. Sospeso a metà tra la sapienza che hanno gli dei e l'ignoranza propria degli uomini, Eros è un filosofo, la cui aspirazione è creare bei discorsi che aiutino chi li ascolta ad elevarsi. Ma Socrate non si ferma qui e ci illustra dettagliatamente anche il percorso di ascesi che Eros ci aiuta a compiere. L'osservazione di una persona bella è solo il punto di partenza, da qui si parte per osservare il bello anche negli altri e dalla conoscenza del bello si passa alle contemplazione della Bellezza in sé, che è la Bellezza dell'anima, la contemplazione della virtù più autentica. Un'opera vertiginosa, dove letteratura, filosofia e poesia si fondono in una sintesi magnifica, un'opera d'arte che affronta con lucidità magistrale temi come il Bello, il Bene e la natura dell'uomo, che ci parla di archetipi qualche migliaio d'anni prima di Jung ed Hillman.