sabato 11 maggio 2013

Sonata


Per gli alberi bruciati dopo la tormenta. 
Per le acque limacciose del delta.
Per quel che c'è di persistente ogni giorno. 
Per l'alba delle orazioni.
Per ciò che hanno  certe foglie
nelle venature color acqua 
profonda e all'ombra.
Per il ricordo di quella breve felicità
già dimenticata
e che sarebbe stata alimento per tanti anni senza nome.
Per la tua voce di rauca madreperla.
Per le tue notti che la vita attraversa
in un galoppo di sangue e sonno.
Per ciò che ora sei per me.
Per ciò che sarai nel disordine della morte
come l'ombra di una speranza illusoria.

[Alvaro Mutis: "Summa di Maqroll il gabbiere"]

sabato 20 aprile 2013

Grida vane



Nessuno a cui poter dire
che non abbiamo niente da dire
e che il niente che ci diciamo
continuamente
ce lo diciamo
come se non ci dicessimo niente
come se nessuno ci dicesse
nemmeno noi stessi
che non abbiamo niente da dire
nessuno
a cui poterlo dire
nemmeno a noi stessi
Nessuno a cui poter dire
che non abbiamo niente da fare
e che non facciamo nient’altro
continuamente
che è un modo per dire
che non facciamo niente
un modo di non far niente
e di dire quel che facciamo
Nessuno a cui poter dire
che non facciamo niente
che non facciamo
che quel che diciamo
cioè niente


[Ghérasim Luca: "La Fine del mondo"]


sabato 13 aprile 2013

La Cacania


Così da tempo si è giunti necessariamente al concetto di una specie di città super-americana, dove tutti corrono o s’arrestano col cronometro in mano. Aria e terra costituiscono un formicaio, attraversato dai vari piani delle strade di comunicazione. Treni aerei, treni sulla terra, treni sotto terra, posta pneumatica, catene di automobili sfrecciano orizzontalmente, ascensori velocissimi pompano in senso verticale masse di uomini dall'uno all'altro piano di traffico; nei punti di congiunzione si salta da un mezzo di trasporto all'altro, e il loro ritmo che tra due velocità lanciate e rombanti ha una pausa, una sincope, una piccola fessura di venti secondi, succhia e inghiotte senza considerazione la gente, che negli intervalli di quel ritmo universale riesce appena a scambiare in fretta due parole. Domande e risposte ingranano come i pezzi di una macchina, ogni individuo ha soltanto compiti precisi, le professioni sono raggruppate in luoghi determinati, si mangia mentre si è in moto, i divertimenti sono radunati in altre zone della città, e in altre ancora sorgono le torri che contengono mogli, famiglia, grammofono e anima. Tensione e distensione, attività e amore sono ben divisi nel tempo e misurati secondo esaurienti ricerche di laboratorio. Se svolgendo una qualsiasi funzione s’incontrano difficoltà, si desiste subito, perché si trova un’altra cosa, oppure un metodo migliore, o ancora vi sarà un altro che s’incaricherà di scoprire la strada giusta […]. La meta è posta a breve distanza; ma anche la vita è breve, e così si ottiene un massimo di buoni successi; di più non occorre all'uomo per essere felice, perché il successo conseguito foggia l’anima, mentre quello a cui si aspira senza ottenerlo la storce soltanto; per essere felici non ha importanza lo scopo prefisso, ma solo il fatto di raggiungerlo. […] Si direbbe che ad ogni istante noi abbiamo in mano gli elementi, e la possibilità di fare un progetto per tutti. […] Ma purtroppo non è affatto così. Siamo noi, invece, in balia della cosa. Giorno e notte viaggiamo dentro ad essa e vi svolgiamo ogni nostra attività; ci si rade, si mangia, si ama, si leggono libri, si esercita la propria professione, come se le quattro pareti stessero ferme, e l’inquietante è che le quattro pareti viaggiano, senza che ce ne accorgiamo, e proiettano innanzi le loro rotaie come lunghi fili adunchi e brancolanti, senza che noi sappiamo verso qual meta. E per di più si vorrebbe possibilmente far parte delle forze che menano il treno del tempo. È un compito assai indefinito, e quando si guarda fuori dopo un lungo intervallo si ha l’impressione che il paesaggio sia mutato; ciò che fugge davanti ai finestrini, fugge perché non può essere altrimenti, ma sebbene noi siamo sottomessi e rassegnati ci domina sempre più l’impressione sgradevole di aver già oltrepassato la meta o di aver imboccato la linea sbagliata. E un bel giorno ecco il bisogno frenetico: scendere! Saltar giù! Un desiderio di esser ostacolati, di non più evolversi, di restar fermi, di tornare indietro al punto che precede la diramazione sbagliata.

[Robert Musil: "L'uomo senza qualità"]