sabato 8 febbraio 2014

Yasmina Reza - Felici i felici


Scene di vita della borghesia parigina alla ricerca della felicità. 
Sono le coppie le protagoniste di questo libro: coppie di coniugi, di amanti, di amici, coppie più o meno giovani che dialogano senza comunicare. Ognuno dei protagonisti sembra chiuso nel suo mondo, incapace o non interessato a capire veramente il prossimo e il primo episodio del libro dice già tutto. 
Il litigio di una coppia all'interno di un supermercato: l'origine delle divergenze che nasce da un episodio marginale, l'irrigidimento dei contendenti che pur sapendo che la lite può facilmente essere ricomposta preferiscono rimanere sulle loro posizioni, l'inevitabile escalation e poi lo scontro che termina con l'affermazione di uno sull'altro. Affermazione parziale, vittoria di Pirro in una guerra ancora tutta da combattere, in attesa di scrivere un nuovo capitolo dello scontro. Ed a chiosa dell'episodio una riflessione riferita ad una frase del figlio della coppia, “il segreto è ridurre al minimo le pretese di felicità”, che potrebbe anche essere il manifesto dell'intero romanzo. 
Le cose non sembrano andare meglio neppure per le coppie di amanti: in un mondo dominato dall'egoismo, dovo tutti perseguono esclusivamente la ricerca del proprio piacere, è inevitabile che ognuno chieda alla relazione qualcosa di diverso, qualcosa che l'altro non può dargli, perché ognuno ha un'idea diversa di felicità. E lo stesso vale per le coppie di anziani, che pure hanno condiviso una vita: “due persone vivono fianco a fianco e ogni giorno la loro immaginazione li allontana in modo sempre più definitivo”, dice uno di loro. 
Non posso affrontare una discussione seria con mia moglie. Farsi capire è una cosa impossibile. Non esiste. Soprattutto fra marito e moglie, basta una frase per essere messi sotto accusa” dice ad un certo punto uno dei protagonisti. Forse è vero o forse è solo una scusa per non provarci neppure, forse sono proprio i protagonisti del libro che scelgono deliberatamente di non affrontare discussioni serie, di vivere in superficie, senza mettersi in discussione (viene in mente la società liquida di Z. Bauman). In un contesto di questo tipo è logico che tutto sia “fraintendimento e torpore” e che si possa affermare “quello che voglio veramente non si può verbalizzare”. 
In "Felici i felici" Yasmina Reza delinea con la consueta scrittura in punta di penna una galleria di personaggi immaturi, annoiati, volubili, che funzionano solo quando riescono a prendere le cose alla leggera e che non provano il minimo interesse per le sorti degli altri. Superficiali che scambiano il piacere per la felicità, magari dicendosi che “per essere felici ci vuole un talento”, ennesima scusa per evitare di mettersi in discussione.

sabato 1 febbraio 2014

Guido Morselli- Dissipatio H.G.


Una lettura decisamente impegnativa, anche per le citazioni ed i richiami alla psicoanalisi freudiana, a McLuhan, alla sociologia, alla filosofia... tutti argomenti con i quali ho scarsissima dimestichezza, eppure una lettura decisamente importante. 
La storia di un uomo che dopo aver deciso di suicidarsi (o meglio, dissolversi senza lasciare traccia) rinuncia al suo intento ma il giorno dopo scopre che ad essere sparito, volatilizzato è il resto del genere umano, tutti tranne lui. Chi si è salvato: lui o gli altri? E come definire l'accaduto: un premio o una condanna? 
Da questo originalissimo punto di partenza, che mi ha fatto pensare al Saramago di Cecità, si dipana il monologo interiore del protagonista che si ritrova a vivere in un eterno presente fatto di un mondo senza uomini, che va avanti nella sua immobilità. Crisopoli, la città operosa, è diventata ora una sorta di spazio metafisico e l'impressione è quella di trovarsi all'interno di un quadro di De Chirico: mancano le persone, mancano le connessioni tra gli oggetti. Con la scomparsa dell'umanità sono scomparse anche le convenzioni: così il protagonista si trova ad essere uno solo ma anche rappresentare tutti quelli rimasti, monarca assoluto di un mondo dove però regna l'anarchia, padrone di tutto quello che resta in un mondo dove è scomparsa la proprietà privata. 
E come reagisce ad un evento così sconvolgente? Con un alternarsi di stati emotivi, che vanno dallo stupore, al tentativo infruttuoso di comprendere l'accaduto, alla paura, al cercare di adattarsi alla situazione, all'angoscia, fino ad arrivare a sedersi su una panchina in attesa dell'arrivo del dottor Karpinsky, un medico che lo aveva curato per una forma di nevrosi ossessiva. 
 Un'attesa godotiana, però, perché il dottor Karpinsky è morto qualche anno prima. L'attesa della morte, forse, oppure l'impossibilità di accettare quella solitudine che pure aveva cercato con tanta ostinazione, e tutto questo mentre tutto intorno la natura trasforma a poco a poco il paesaggio, facendosi largo fra le costruzioni dell'uomo riprendendo lentamente inesorabilmente il suo spazio. 
Dissipatio H.G. è un libro doloroso, che esprime il conflitto con un mondo che l'autore non ama ma dal quale sente di non poter prescindere, un mondo con il quale, nonostante tutto, vorrebbe trovare una forma di contatto, ma dal quale si sente ignorato. Colpisce la freddezza con la quale Morselli passeggia sul ciglio dell'abisso (bernhardiana, mi verrebbe da dire), quel senso di “controllo” sempre presente nelle pagine del libro, come se emozioni così forti si potessero descrivere in maniera distaccata, quasi guardandole da fuori. 
In conclusione, l'impressione generale è quella di trovarsi davanti a qualcosa di grande, ma forse troppo difficile da comprendere per chi non è mai caduto in fondo al pozzo.

domenica 26 gennaio 2014

George Saunders - Dieci dicembre


Raccolta di racconti dove la prima cosa che si nota è la forte caratterizzazione linguistica dei personaggi, così ben individuabili dalle loro voci che nei dialoghi spesso non è necessario specificare chi sta parlando. Un'originalità che però non è mai fine a se stessa, ma funzionale alla trama che viene raccontata; non c'è manierismo, compiacimento o voglia di stupire, ma solo esigenza di capire. 
E da capire c'è molto, perché l'universo che Saunders racconta è decisamente problematico, difficile da mettere a fuoco, perché abitato da personaggi che vivono chiusi nel loro mondo fino ad arrivare al punto da comunicare per immagini, come il protagonista di Croci che affida ad un simbolo il compito di rappresentarlo, di fare da tramite tra sé e gli altri. 
Si va avanti con un ritmo sincopato, caratterizzato da cambi di prospettiva e di registri narrativi sia all'interno di ogni singolo racconto che tra una storia e l'altra. Si passa da storie che parlano della vita reale ad altre ambientati in mondi (forse) impossibili, si passa dalla farsa alla tragedia come se fossimo sulle montagne russe ma la bravura da Saunders sta nel governare alla perfezione il materiale che ha a disposizione grazie ad una scrittura sempre chiara, mai “eccessiva”. 
I personaggi di “Dieci dicembre” sono genitori che credono di adottare i comportamenti più adatti per entrare in sintonia con i figli mentre in realtà non si rendono conto di quanto sono lontani da loro, sono bambini (ed adulti) che faticano a prendere decisioni perché schiacciati dal senso del dovere, dai sensi di colpa, da vissuti familiari o da quella voce interiore che invece di suggerire loro cosa fare finisce per aumentare la confusione. 
Sono personaggi che spesso hanno difficoltà a verbalizzare e più che parlare monologano, vivono in un mondo di fantasia diverso da quello reale. E gli altri? Gli altri vivono nell'idea che ci facciamo di loro, ed è sempre un'idea imprecisa, sono un termine di paragone, un confronto che ci spinge a comportarci in maniera tale da cercare di reggere il confronto. 
Racconti sulla difficoltà di comunicare, quindi, ma che lasciano aperto uno spiraglio. L'occhio con cui Saunders guarda ai suoi personaggi è sempre un occhio compassionevole ed in questo mi sembra di scorgere più di una analogia con David Foster Wallace.

domenica 19 gennaio 2014

Il polpo e il pescatore


Non temere le parole 
sbattile come il polpo sulla pietra 
fino a che non si arrendano, 
fino a guadagnarne tutto l’inchiostro 
fino a tingertene le mani. 

Stupido, 
per questo non sarai mai poeta 

perché non sei diventato polpo 

ma solo e soltanto 
ostinato pescatore

[Spyros Aravanis]