Borges è uno scrittore del XIX secolo. Il miglior scrittore argentino del XIX secolo.
Uno della generazione dell'80 che ha letto Paul Valéry. Questo da un lato. Dall'altro la sua narrativa si può intendere solo come un tentativo cosciente di concludere la letteratura argentina del XIX secolo. Chiudere e integrare le due linee basilari che definiscono la scrittura letteraria del XIX secolo.
Punto primo, l'europeismo, quello che inizia con la prima pagina del Facundo, testo fondatore della letteratura argentina. [...] Qui c'è la prima delle linee che costituiscono la narrativa di Borges: testi che sono concatenazioni di citazioni ordite, apocrife, false, sviate; esibizione esasperata e parodistica di una cultura di seconda mano, tutta pervasa da una pedanteria patetica: di questo ride Borges. Esaspera e spinge al limite, mi riferisco a Borges, esaspera e spinge al limite, chiude mediante la parodia la linea dell'erudizione cosmopolita e fraudolenta che definisce e domina gran parte della letteratura argentina del XIX secolo.
Ma c'è di più, c'è un'altra linea: quello che potremmo chiamare il nazionalismo populista di Borges. Il tentativo di integrare nella sua opera anche l'altra corrente, la linea antagonistica all'europeismo, che avrebbe come base la letteratura gauchesca e come modello il Martìn Fierro. Borges si propone di chiudere anche questa corrente, che in un certo senso definisce anch'essa la letteratura argentina del XIX secolo. Cosa fa Borges? Scrive la continuazione del Martin Fierro. Non solo perché gli scrive, con "La Fine" un finale, ma perché inoltre assume il gaucho trasformato in abitante della periferia come protagonista di quei racconti che, non a caso, Borges situa sempre tra il 1890 e il 1900.
Ma non è solo questo, non si tratta solo di una questione tematica. Borges fa qualcosa di diverso, qualcosa di centrale, ecco, comprende che il fondamento letterario della gauchesca è la trascrizione della voce, della parlata popolare. Non fa letteratura gauchesca con un linguaggio colto come Guiraldes. Quello che fa Borges è scrivere il primo testo della letteratura argentina posteriore al Martìn Fierro che sia scritto da un narratire che usa le flessioni, i ritmi, il lessico della lingua orale: scrive "Uomo della casa rosa".
Quindi i due primi racconti scritti da Borges, così diversi a prima vista, "Uomo della casa rosa" e "Pierre Menard, autore del Chisciotte", sono il modo in cui Borges si collega, si mantiene in contatto, e insieme la conclude, con quella duplice tradizione che divide la letteratura argentina del XIX secolo. A partire di qui la sua opera è divisa in due: da un lato i racconti dei cuchilleros, con le loro varianti; dall'altro i racconti, diciamo così, eruditi, in cui l'erudizione, l'esibizione della cultura si esaspera, si spinge al limite, i racconti nei quali Borges fa la parodia della superstizione culturalista e lavora sull'apocrifo, il plagio, la catena di citazioni ingannevoli, la falsa enciclopedia, ecc., e nei quali l'erudizione definisce la forma del racconto. Non è un caso che il miglior testo di Borges sia, a detta di Borges, "Il sud", racconto in cui queste due linee si intersecano, si integrano.