venerdì 27 marzo 2015

Tomas Transtromer (15 aprile 1931 - 26 marzo 2015)


Una notte d'inverno

La tem­pe­sta pog­gia la sua bocca alla casa
e sof­fia per emet­tere un suono.
Dormo inquieto, mi giro, leggo
il testo della tem­pe­sta assopita. Ma gli occhi del bam­bino sono spa­lan­cati al buio
e il tem­po­rale mugola per lui.
Entrambi amano le lam­pade che dondolano.
Entrambi sono a metà strada dal linguaggio. La tem­pe­sta ha mani infan­tili e ali.
La caro­vana si lan­cia verso la Lapponia.
E la casa avverte la sua costel­la­zione di chiodi
che tiene insieme le pareti. La notte è immo­bile sul nostro pavimento
(dove tutti i passi attutiti
ripo­sano come foglie affon­date in uno stagno)
ma fuori infu­ria la notte! Sul mondo passa una più grave tempesta.
Pog­gia la sua bocca alla nostra anima
e sof­fia per emet­tere un suono – temiamo
che la tem­pe­sta sof­fiando ci svuoti.

[Tomas Transtromer: "Poesia dal silenzio"]

giovedì 19 marzo 2015

Sui trucchi dell'immaginazione


I

Il Signor Cogito non si era mai fidato
dei trucchi dell'immaginazione

il piano sulla cima delle Alpi
suonava falsi concerti per lui

non apprezzava i labirinti
la Sfinge lo riempiva di disgusto

viveva in una casa senza cantine
senza specchi o dialettica

le giungle di immagini attorcigliate
non erano la sua patria

si innalzava di rado
sulle ali di una metafora
e quindi cadeva come Icaro
nell'abbraccio della Grande Madre

adorava le tautologie
la spiegazione
idem per idem

che un uccello è un uccello
schiavitù è schiavitù
un coltello è un coltello
la morte rimane morte

amava
l'orizzonte piatto
la linea diritta
l'attrazione terrestre



II

Il Signor Cogito sarà annoverato
tra le specie minori

accetterà indifferentemente il verdetto
dei futuri studiosi delle lettere

egli usava l'immaginazione
per scopi completamente diversi

voleva renderla
uno strumento di compassione

voleva capire fino in fondo

- la notte di Pascal
- la natura di un diamante
- la malinconia dei profeti
- l'ira di Achille
- la pazzia dell'assassino
- i sogni di Maria Stuarda
- la paura del Neanderthal
- la disperazione degli ultimi Aztechi
- le lunghe convulsioni di Nietzsche morente
- la gioia del pittore di Lascaux
- l'ascesa e la caduta di una quercia
- l'ascesa e la caduta di Roma

e così riportare ciò che è morto in vita
preservare il patto

l'immaginazione del Signor Cogito
ha il moto di un pendolo

oscilla con precisione
da sofferenza a sofferenza

non c'è posto in essa
per i fuochi artificali della poesia

lui vorrebbe rimanere fedele
all'incerta chiarezza.

[Zbigniew Herber: "Rapporto dalla città assediata"]

sabato 14 marzo 2015

Da in cima alle scale

Ovviamente 
quelli che stanno in cima alle scale 
loro sanno 
sanno tutto 

invece noi 
spazzini delle piazze 

ostaggi d’un futuro migliore 
ai quali quelli da in cima alle scale 
si mostrano di rado 
sempre con un dito sulle labbra 

noi siamo pazienti 
le nostre mogli rammendano le camicie della festa 
parliamo di razioni alimentari 
di calcio del prezzo delle scarpe 
e il sabato rovesciamo la testa all’indietro 
e beviamo 

non siamo di quelli 
che stringono i pugni 
scuotono le catene 
parlano e interrogano 
incitano alla rivolta 
febbrili 
di continuo parlano e interrogano 

questa è la loro favola – 
ci getteremo sulle scale 
e le conquisteremo d’assalto 
rotoleranno per i gradini 
le teste di quelli che stavano in cima 
e finalmente scorgeremo 
cosa si vede da quelle altezze 
quale avvenire 
quale vuoto 
 a noi non interessa lo spettacolo 
di teste che rotolano 
sappiamo con quanta facilità ricrescano le teste 
e sempre in cima ne resterà 
più d’uno 
e in basso un nereggiare di scope e badili 

talvolta sogniamo 
che quelli da in cima alle scale 
scenderanno in basso 
ossia da noi 
mentre mastichiamo il pane sul giornale 
e ci diranno 

– e ora parliamo 
da uomo a uomo 
non è vero ciò che gridano i manifesti 
portiamo la verità tra le labbra serrate 
è crudele e troppo pesante 
perciò la reggiamo da soli 
non siamo felici 
resteremmo volentieri 
qui 

si tratta ovviamente di sogni 
possono avverarsi 
oppure no 
continueremo quindi 
a coltivare il nostro quadrato di terra 
il nostro quadrato di pietra 

con la testa leggera 
una sigaretta dietro l’orecchio 
e senza una goccia di speranza nel cuore

[Zbigniew Herbert: "Rapporto dalla città assediata"]

sabato 7 marzo 2015

Lezioni di letteratura argentina: Piglia su Borges


Borges è uno scrittore del XIX secolo. Il miglior scrittore argentino del XIX secolo.
Uno della generazione dell'80 che ha letto  Paul Valéry. Questo da un lato. Dall'altro la sua narrativa si può intendere solo come un tentativo cosciente di concludere la letteratura argentina del XIX secolo. Chiudere e integrare le due linee basilari che definiscono la scrittura letteraria del XIX secolo.
Punto primo, l'europeismo, quello che inizia con la prima pagina del Facundo, testo fondatore della letteratura argentina. [...] Qui c'è la prima delle linee che costituiscono la narrativa di Borges: testi che sono concatenazioni di  citazioni ordite, apocrife, false, sviate; esibizione esasperata e parodistica di una cultura di seconda mano, tutta pervasa da una pedanteria patetica: di questo ride Borges. Esaspera e spinge al limite, mi riferisco a Borges, esaspera e spinge al limite, chiude mediante la parodia la linea dell'erudizione cosmopolita e fraudolenta che definisce  e domina gran parte della letteratura argentina del XIX secolo.
Ma c'è di più, c'è un'altra linea: quello che potremmo chiamare il nazionalismo populista di Borges. Il tentativo di integrare nella sua opera anche l'altra corrente, la linea antagonistica all'europeismo, che avrebbe come base la letteratura gauchesca e come modello il Martìn Fierro. Borges si propone di chiudere anche questa corrente, che in un certo senso definisce anch'essa la letteratura argentina del XIX secolo. Cosa fa Borges? Scrive la continuazione del Martin Fierro. Non solo perché gli scrive, con "La Fine" un finale, ma perché inoltre assume il gaucho trasformato in abitante della periferia come protagonista di quei racconti che, non a caso, Borges situa sempre tra il 1890 e il 1900.
Ma non è solo questo, non si tratta solo di una questione tematica. Borges fa qualcosa di diverso, qualcosa di centrale, ecco, comprende che il fondamento letterario della gauchesca è la trascrizione della voce, della parlata popolare. Non fa letteratura gauchesca con un linguaggio colto come Guiraldes. Quello che fa Borges è scrivere il primo testo della letteratura argentina posteriore al Martìn Fierro che sia scritto da un narratire che usa le flessioni, i ritmi, il lessico della lingua orale: scrive "Uomo della casa rosa".
Quindi i due primi racconti scritti da Borges, così diversi a prima vista, "Uomo della casa rosa" e "Pierre Menard, autore del Chisciotte", sono il modo in cui Borges si collega, si mantiene in contatto, e insieme la conclude, con quella duplice tradizione che divide la letteratura argentina del XIX secolo. A partire di qui la sua opera è divisa in due: da un lato i racconti dei cuchilleros, con le loro varianti; dall'altro i racconti, diciamo così, eruditi, in cui l'erudizione, l'esibizione della cultura si esaspera, si spinge al limite, i racconti nei quali Borges fa la parodia della superstizione culturalista e lavora sull'apocrifo, il plagio, la catena di citazioni ingannevoli, la falsa enciclopedia, ecc., e nei quali l'erudizione definisce la forma del racconto. Non è un caso che il miglior testo di Borges sia, a detta di Borges, "Il sud", racconto in cui queste due linee si intersecano, si integrano.

sabato 28 febbraio 2015

Lezioni di letteratura argentina: Piglia su Arlt


...Borges è anacronistico, mette un punto finale, guarda verso il XIX secolo. Quello che apre, che inaugura, è Roberto Arlt. Arlt ricomincia da capo: è l'unico scrittore veramente moderno che la letteratura argentina del XX secolo abbia prodotto.
[...] io ti dico che Arlt scriveva male, la verità è che scriveva con il culo, scriveva come se volesse rovinarsi la vita, screditarsi da sé. Il masochismo che gli derivava dalla lettura di Dostoevskij, quel gusto per la sofferenza alla maniera di Alesa Karamazov, lui lo riservava unicamente al suo stile: Arlt scriveva per umiliarsi, nel senso letterale dell'espressione. Scriveva male: ma nel senso morale della parola. La sua è una scrittura cattiva, una scrittura perverso.È uno stile criminale. Fa quello che non si deve fare, quello che sta male, distrugge tutto quello che per cinquant'anni si era inteso come scrivere bene.
Arlt scrive contro l'idea di stile letterario, ossia contro quello che ci hanno insegnato si deve intendere per scrivere bene, cioè scrivere in modo corretto, accurato. Perciò il miglior elogio che si possa fare di Arlt è dire che nei suoi momenti migliori è illeggibile; almeno secondo i critici è illeggibile: non possono leggerlo, in base al loro codice non possono leggerlo. Tutti i critici (salvo due eccezioni) si trovano d'accordo su una sola cosa: nel dire che scriveva male. È una delle poche concordanze unanimi che può offrire la letteratura argentina. Hanno ragione, dato che Arlt non scriveva dallo stesso luogo che occupavano loro, né in base allo stesso codice. In questo Arlt è assolutamente moderno: è più avanti di tutti quei citrulli che lo accusano.
[...] Lo stile di Lugones è uno stile impegnato a cancellare qualsiasi traccia dell'impatto , o meglio, della mescolanza provocata dall'immigrazione sulla lingua nazionale. Infatti quel bello stile ha orrore del miscuglio. Arlt, è evidente, lavora in un senso esattamente opposto. Maneggia ciò che rimane e si sedimenta nel linguaggio, lavora con i resti, i frammenti, il miscuglio, ossia con quella che è realmente la lingua nazionale. Non intende il linguaggio come un'unità, come qualcosa di coerente e liscio, come un conglomerato, una marea di gerghi e voci. Per Arlt la lingua nazionale è il luogo in cui convivono e si confrontano diversi linguaggi, con i loro registri e i loro toni. E questo è il materiale con cui si costruisce il suo stile. Questo è il materiale che lui trasforma, facendolo entrare nella "macchina versatile", per citarlo, della sua scrittura. Arlt trasforma, non riproduce. In Arlt non c'è una copia della lingua parlata. Capisce che la lingua nazionale è un conglomerato.

[Ricardo Piglia: "Respirazione artificiale"]