"Pensò tra l'altro che nel suo stato
epilettico c'era una fase, proprio prima dell'attacco (sempre che l'attacco
venisse mentre era sveglio), quando improvvisamente, in mezzo alla tristezza,
alle tenebre dell'anima, all'oppressione, il suo cervello pareva accendersi, e
tutte le sue forze vitali si tendevano di colpo con uno slancio inusitato. Il
senso della vita e la coscienza di sé si decuplicavano quasi in quegli istanti
che duravano il tempo di un lampo. La mente, il cuore gli si illuminavano di
una luce straordinaria. Tutte le sue emozioni, i suoi dubbi, sembravano
placarsi di colpo, si risolvevano in una calma suprema, piena di gioia serena,
di armonia e di speranza, piena di intelligenza e di causa ultima. Ma quei
momenti, quegli sprazzi di luce, erano soltanto il preludio di quel secondo
definitivo (mai più di un secondo) con cui aveva inizio l'attacco vero e
proprio. Quel secondo era certamente insopportabile. Riflettendo in seguito su
quell'istante, quando ormai si trovava in condizioni normali, spesso diceva a
se stesso che tutti quei lampi e quei bagliori di altissima sensazione e
coscienza di sé, e quindi anche di "vita superiore" non erano altro
che malattia, alterazione dello stato normale, e se era così, quella non era
affatto un'esistenza superiore, ma, al contrario, doveva essere annoverata fra
le più basse. E tuttavia arrivò infine ad una conclusione straordinaria e
paradossale: "Che importa se è una malattia?" concluse infine,
"che importanza ha che sia una tensione anormale, se il risultato, se quel
minuto di sensazioni rievocato e analizzato poi in condizioni normali si rivela
armonia e bellezza al più alto grado, e dà un senso fino allora insospettato e
inaudito di pienezza, di misura, di acquietamento e di trepida fusione di
preghiera con la suprema sintesi della vita?"
[Fëdor
Michajlovič Dostoevskij: "L'idiota"]