domenica 10 gennaio 2021

Quelli di sotto – Mariano Azuela

 


L'epica del disincanto


Quelli di sotto non è solo un libro sulla rivoluzione messicana del 1910 ma è il primo libro su questo tema, un'opera figlia di un'esperienza sul campo dalla quale Azuela trasse una profonda disillusione che emerge chiaramente dalla lettura di queste pagine.
Demetrio Macías è un allevatore di bestiame che aderisce convintamente alla causa delle rivoluzione e poi si ritrova a nuotare in un mare nel quale i confini si fanno sempre più indistinti. Non esistono i buoni da una parte e i cattivi dall'altra ma solo sfumature di grigio, un grigio che tende sempre più pericolosamente al nero perché la guerra sembra avere la capacità di tirar fuori il peggio dalle persone, a qualunque fazione esse appartengono. Le buone idee e i valori alla base della rivoluzione finiscono così per perdersi per strada, sacrificate in nome dell'opportunismo e dell'ambizione. Il bene pubblico è l'agnello sacrificale immolato sul tempio dell'interesse personale e tanti saluti alle buone intenzioni. Da soggetto ad oggetto, la triste parabola di Macías è quella di diventare semplice strumento di quella rivoluzione di cui voleva essere uno degli artefici e di conseguenza la sua lotta si trasforma una specie di moto inerziale, qualcosa che una volta iniziato non c'è motivo di interrompere anche se si fatica a trovare motivi validi per giustificarlo.

«Io avevo immaginato un prato fiorito al termine della strada… E ho trovato una palude. Amico mio, vi sono dei fatti e vi sono degli uomini che non racchiudono se non fiele. E questo fiele vi cola goccia a goccia nell’anima, e tutto amareggia, tutto avvelena. Entusiasmi, ideali, gioie… tutto! E allora non vi rimane che una alternativa: o diventate un brigante come essi, o scomparite dalla scena e vi rinchiudete tra le mura d’un egoismo impenetrabile e feroce.» 

«perché combattere ancora, Demetrio?» Demetrio, la fronte aggrottata, raccoglie distratto un sassolino e lo butta in fondo al canyon. Poi rimane pensoso a guardare in giù, e infine dice: «Guarda come quel sasso non si ferma più…» 


sabato 2 gennaio 2021

Tornabuoni Stortignaccolo e Stortignaccolo aureo

Si tratta di un sigaro bitroncoconico presente nei tre tagli classici (intero, ammezzato e aureo), uno short filler lavorato a macchina con la fascia costituita da Kentucky proveniente dall'alta valle del Tevere a cui si aggiunge nel ripieno il tabacco beneventano.
Lo Stortignaccolo è giovane (la stagionatura è di sei mesi), all'aspetto si mostra leggermente irregolare e con nervature superficiali che farebbero pensare a un'indole scontrosa, contraddetta però dall'analisi a crudo che ne svela l'aspetto "docile", rivelando odori non previ di una certa dolcezza. È infatti un giovane privo dei difetti della sua età, che non paga pegno all'inesperienza e non eccede in esuberanza grazie al beneventano che riesce ad ammansire la potenza del valtiberino tenendone a freno l'irruenza. 
Si tratta di un classico tuttogiorno, un sigaro di forza leggera-media che cresce un po' verso la pancia e che è in grado di dare piena soddisfazione. La fumata è regolare, senza problemi di tiraggio e nonostante la scarsa evoluzione mantiene un'identità precisa fatta di armonia tra dolce e amaro, con un sapiente bilanciamento dei caratteri che racconta la terra da cui origina e le sfaccettature dei suoi sapori.

domenica 27 dicembre 2020

giovedì 24 dicembre 2020

Prima neve a Petrozavodsk


Hotel Severnaya 

 

Argine del lago Onega

domenica 20 dicembre 2020

Giardino, cenere – Danilo Kiš



Giardino, cenere è il miglior libro dell'Europa postbellica per I. Brodskij e il secondo volume di una trilogia ideale che comprende Dolori precoci e Clessidra, «tre sguardi – si legge in Homo poeticus – tre approcci alla stessa realtà, al centro della quale si trova Eduard Sam, E.S., lo scomparso, figura centrale di un mondo anch'esso scomparso. Il mondo dell'Europa centrale.»
Un romanzo dal sapore proustiano ma anche schulziano, una narrazione lirica dell'infanzia nella quale realtà e illusione si mescolano nella dimensione letteraria e trovano voce nel racconto del piccolo Andreas Sam che ci parla della sua famiglia e soprattutto del suo strano padre e della sua opera ancora più strana, un "Orario delle comunicazioni tramviarie, navali, ferroviarie e aeree, un libro-mondo in continua trasformazione («Era una Bibbia sacrale, apocrifa, nella quale si rinnovava il miracolo della Genesi, ma nella quale erano corrette tutte le ingiustizie divine e l’impotenza dell’uomo»).
Eduard Sam incarna la figura dell'ebreo errante, un fallito che spinge la famiglia a seguirlo nelle sue peregrinazioni,  un pazzo che vive in un delirio di idee assurde e sogni irrealizzabili, votato a «un'indefinita rivolta contro la società e l'ordine del mondo», un uomo convinto che il suo ruolo sia quello di adempiere al proprio destino in modo da realizzare così il proprio personale riscatto e anche quello di riscattare attraverso il suo sacrificio l'intera umanità.
Kiš ci restituisce alla perfezione il punto di vista del ragazzino, lo stupore e la curiosità dei suoi occhi che guardano e interpretano la realtà e lo fa attraverso un linguaggio dai toni soffusi, ricco di descrizioni, particolari e sensazioni. È una prosa lirica che esprime alla perfezione la malinconia per il trascorrere inesorabile del tempo, per un'epoca – quella dell'infanzia – dalla quale il protagonista sta per uscire ma anche per un mondo che volge al declino.
Giardino, cenere è un libro sulla mitologia infantile e sul mistero del tempo di rara eleganza formale ma anche un'opera ricca di contenuti e riflessioni di indubbio spessore.

«Ci sono uomini» continuò mio padre «che sono nati per fare l’infelicità propria e altrui, vittime di macchinazioni celesti che non possiamo comprendere, cavie della meccanica celeste, ribelli ai quali è assegnata la parte di ribelli, ma che sono nati, per la crudele logica della commedia celeste, con le ali tagliate. Titani senza la forza dei titani, piccoli titanucci gracili che di grande hanno ricevuto solo una dose eccessiva di sensibilità nella quale la loro futile forza si scioglie come in alcol. Essi seguono la loro stella, la loro sensibilità malata, portati da progetti e da propositi titanici, e si infrangono come onde sugli scogli della banalità quotidiana. Ma la cosa più crudele riservata loro è la lucidità, la coscienza dei propri limiti, la dolorosa facoltà di distanziarsi. Io vedo me stesso nella parte impostami dai cieli e dal destino, consapevole di essa ad ogni istante, ma al tempo stesso assolutamente incapace di oppormi ad essa con la forza della logica e della volontà... Per fortuna, come ho detto, questa mia parte volge al termine...»