domenica 8 marzo 2009

E' caduto un acrobata


E’ caduto un acrobata. Quando è successo? Forse ieri, forse un mese fa, forse è già passato più di un anno… Non importa quando, o, più semplicemente, non fa piacere ricordare quei giorni.
E’ caduto mentre stava camminando sulla sua corda, come sempre. Non si sa bene come sia accaduto, si sa solo che all’improvviso si è trovato senza appoggio ed è precipitato nel vuoto. Un volo goffo, sgraziato, ridicolo nella sua tragicità. Un volo breve, perché lui non è un uccello capace di sfidare la forza di gravità, lui è (era?) solo un funambolo, un uomo-bambino che giocava a fare l’acrobata.
Neppure un grido, mentre cadeva, non ha aperto bocca neppure mentre si schiantava a terra. Un tonfo sordo e subito una piccola folla si è radunata intorno al corpo dell’acrobata accasciato sul selciato.
- Ora la smetterà di giocare su quella maledetta corda!
- Era logico che prima o poi sarebbe successa una cosa del genere…
- Ben gli sta! Chi si credeva di essere? Cosa voleva dimostrare standosene lassù in cima?
Questi i commenti della gente che lo circondava. Tutti, per un motivo o per l’altro, contenti che fosse successo, felici di vederlo finalmente a terra, anche lui nel loro mondo, come se l’acrobata avesse ricevuto la lezione che meritava.
- Anche tu sei come noi, - pensavano - e da oggi non te ne scorderai così facilmente. La smetterai una buona volta di sentirti diverso dagli altri!
Sarebbe stato così semplice... ma non ci pensò nessuno. A nessuno venne in mente di chiedere all’acrobata:
- Cos’hai, ti sei fatto male? Hai bisogno d’aiuto? Soffri molto?
A nessuno. E questo fu per l’acrobata il dolore più forte.
Il verdetto dei medici fu subito chiaro:
- Non morirai, ma non potrai più salire su quella corda.
I giorni ed i mesi successivi furono per lui un vero calvario. Non morirai, gli avevano detto… Ma condannare un acrobata a non salire mai più lassù non era forse la stessa cosa di una condanna a morte? Magari ad una morte lenta, lentissima. E forse per questo ancora più dolorosa.
Sulle prime l’acrobata accettò il verdetto dei medici. Era ferito, spaventato, distrutto nello spirito e nell’orgoglio. Cosa avrebbe potuto fare di diverso? Piegò il vestito da funambolo, ripose con cura le scarpe, cercò di dimenticare la corda concentrandosi sulla vita di tutti i giorni, quella che avevano sempre vissuto gli altri, a qualche decina di metri al di sotto di dove era abituato a stare lui.
Non fu una cosa indolore, ma se ci scappò qualche lacrima fece in modo che non la vedesse nessuno.
Si sforzò di essere come gli altri, ne studiò i movimenti fino a riuscire a riprodurli fedelmente. Copiò comportamenti, modi di fare ed abitudini della gente e con il tempo imparò a vivere come facevano loro. Sembrava proprio integrato, a guardarlo andare in giro per la strada quando portava a spasso il cane. Sembrava definitivamente guarito da quella strana malattia (come dicevano loro) che per anni gli aveva impedito di comportarsi come gli altri uomini.
Già, sembrava.
Perché in realtà fingeva. Un acrobata non può vivere come una persona normale, un acrobata è destinato a vivere ed a morire solo da acrobata. E così fece lui. Resistette, fino a quando riuscì a farlo, poi si costruì un’altra corda e ricominciò a camminare sul filo sospeso. Lo fece di nascosto, all’inizio con paura e poi con sempre maggior sicurezza.
Certo, era una corda di fantasia, non una corda reale, ma questo non vuol dire niente.

[LWV: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

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