domenica 30 agosto 2009

Quel che si dice un finale (2)

[...] A quel punto Laura ha alzato lo sguardo per incrociare il mio. Era uno sguardo penetrante e il cuore ha rallentato i battiti. Mi ha fissato negli occhi per quello che mi è parso un lungo periodo e poi ha annuito. Non ha fatto altro, è stato il suo unico segnale, ma è bastato. Era come se mi stesse dicendo: Non ti preoccupare, supereremo anche questa, andrà tutto bene, vedrai. Pian piano, tutto s'aggiusta. Ad ogni modo, così ho scelto di interpretare quello sguardo, anche se può darsi mi sbagliassi.
La doccia ha smesso di scorrere. Dopo un attimo, ho sentito Herb fischiettare aprendo la porta del bagno. Ho continuato a guardare le donne accanto al tavolo. Terri stava ancora piangendo e Laura le carezzava i capelli. Sono tornato a guardare fuori dalla finestra. La striscia azzurra del cielo aveva ceduto e stava diventando scura come il resto. Mi erano apparse le stelle. Ho riconosciuto Venere e oltre, di lato, non altrettanto luminoso ma inconfondibile, laggiù sull'orizzonte, Marte. Il vento s'era rafforzato. Ne ho osservato gli effetti sui campi deserti. Irrazionalmente ho pensato che era un peccato che i McGinnis non tenessero più cavalli. Volevo immaginare cavalli in corsa attraverso quei campi nel crepuscolo, o magari anche fermi in piedi con le teste in varie direzioni, accanto alla staccionata. Sono rimasto alla finestra, in attesa. Sapevo che dovevo star lì fermo ancora per un pò, continuare a puntare lo sguardo là fuori, oltre la casa, fintanto che c'era ancora qualcosa da vedere.
[Raymond Carver: "Principianti"]

sabato 29 agosto 2009

Quel che si dice un finale (1)


[...] Tutto questo successe a Crescent City, in California, vicino al confine con l'Oregon. Poco tempo dopo me ne andai altrove. Ma oggi mi è tornato in mente quel posto, Crescent City, e il mio tentativo di rifarmi una vita lì con mia moglie, e come, proprio su quella poltrona di barbiere, quella mattina, avessi deciso di andarmene senza neanche voltarmi. Oggi stavo ripensando alla calma che m'aveva invaso quando avevo chiuso gli occhi e avevo lasciato che quelle dita mi passassero tra i capelli, al tocco triste di quelle dita, ai capelli che già stavano cominciando a ricrescere.

[Raymond Carver: "Principianti"]

mercoledì 26 agosto 2009

La solita vecchia storia

La schiena sulla roccia e la roccia sopra al mare
immobile come insetto che sentendosi osservato
trattiene il gesto per ingannare l’occhio,
accordi il tuo respiro alla risacca
e chiudi gli occhi e vedi.


Vedi il tuo corpo disteso e un altro te che osserva
sei dentro il quadro e fuori
ovunque e in nessun dove.


La solita vecchia storia,
di te sul punto di
e di lasciarti andare
che invece torni indietro e ti nascondi
dietro i “se” e i “ma”, “forse” e “domani”.


La solita vecchia storia
di te che ti avvicini e ti allontani
di te che in parte vivi
e in parte aspetti.


[Lars W. Vencelowe: "Mater Mare"]

domenica 23 agosto 2009

L'uno e l'altro

...so esattamente cosa mi sta accadendo e cosa tu pensi di me. E' la solita tortura, Myriam, io sono sempre entrambi, quello che se ne sta con la faccia paonazza e le braccia conserte, e quello che d'un tratto compie un balzo oltre se stesso e cade sempre più in basso. E, mentre cade, ha ancora la faccia tosta di discutere con il paonazzo, urlandogli mentre precipita verso la perdizione: "Lascia vivere, lascia sentire, lascia sbagliare".
Però, ecco, sono anche l'altro. Che ci posso fare? Quello che sibila con disprezzo che la fine è ben nota: tornerai da me strisciando, dice con tono secco (ha il difetto di avere le mucose aride), mentre il somarello continua a strillare che non gli importa, perchè forse un giorno ce la farà.
[...] io sono il somarello [...] Ma credimi, almeno nel momento del volo sono me stesso, l'"io" che dovrei essere. Ed è un momento colmo di felicità - un momento ricco, completo. Come vorrei saper prolungare per tutta la vita un momento simile.
Poi, naturalmente, c'è il tonfo dell'atterraggio. Un polverone intorno e un silenzio tremendo. Mi riscuoto da tutto ciò che ero fino a un minuto prima e mi guardo in giro con cautela; comincio a gelare per il freddo che mi avvolge dentro e fuori, un freddo che solo i buffoni e gli stupidi conoscono.

[David Grossman: "Che tu sia per me il coltello]

sabato 22 agosto 2009

Ponte

Solo un ponte stretto che
congiunge il buio col buio. E una luce,
che il mondo dissolve in minuscoli punti
che noi uniamo faticosamente,
per ottenere un'immagine - come se avessimo il diritto a
un'immagine dai limiti definiti.
Da nord soffiano frasi incomprensibili
sulla passerella, parole d'infanzia immerse
nel miele e ferme nel vento;
esse vogliono raggiungerci, qui, sul ponte
che congiunge il buio col buio.
Sotto di noi l'acqua smussa i ciottoli
perchè vadano avanti
e si possano perdere nel mare.
Quanto è minuscolo il ponte che
congiunge i tuoi occhi - è come un grido
sulla paura tacita, non più.

[Michael Kruger]

giovedì 20 agosto 2009

Tutto si dimentica o si estingue

Molte cose succedono senza che nessuno se ne accorga nè le ricordi. Di quasi nulla resta traccia, i pensieri e i gesti fugaci, i progetti e i desideri, il dubbio segreto, i sogni, la crudeltà e l'insulto, le parole dette e ascoltate e poi negate o fraintese o travisate, le promesse fatte e non tenute in conto, neppure da coloro a cui sono state fatte, tutto si dimentica o si estingue, ciò che si fa da soli e di cui non si prende nota e anche quasi tutto ciò che non è solitario ma in compagnia, quanto poco rimane di ogni individuo, di quanto poco vi è testimonianza, e di quel poco che rimane tanto si tace, e di quello che non si tace si ricorda dopo soltanto una parte minima, e per poco tempo, la memoria individuale non si trasmette e non interessa chi la riceve, il quale plasma e possiede la sua propria memoria. Tutto il tempo è inutile, non soltanto quello del bambino, o tutto è come il suo, quanto avviene, quanto entusiasma o fa male nel tempo si coglie soltanto per un istante, poi si perde e tutto è sdrucciolevole come la neve compatta.
[Javier Marìas: "Domani nella battaglia pensa a me"]

martedì 18 agosto 2009

domenica 16 agosto 2009

La luce della sera

La sera,
Quegli uccelli che si parlano, indefiniti,
Che si mordono, luce.
La mano che s'è mossa sul fianco deserto.

Siamo immobili da molto tempo.
Parliamo sottovoce.
E il tempo resta attorno a noi come pozze di colore.

[Yves Bonnefoy: "Seguendo un fuoco"]

sabato 15 agosto 2009

L'ultimo raggio di sole


Quello delle sei e mezzo di un pomeriggio di primavera.
Una luce che così forte da risultare quasi fastidiosa, perché arriva sugli occhi in maniera obliqua e li costringe a rimanere semichiusi. Una luce che abbaglia ed insieme affascina.
Una sedia in mezzo al prato, con il sole in pieno viso (il pensiero corre ai vecchi di Santorini, seduti fuori dalle loro case).
Non parli, ascolti.
Le voci degli altri, il cinguettio degli uccelli, il fruscio degli insetti, il rumore del fiume, l’abbaiare di un cane, il silenzio.
Non pensi a nulla, per non distrarti.
Sei lì solo per quello, per prenderti in faccia il sole, per goderti l’ultimo raggio. Assisti impotente al consumarsi del giorno: fra poco non esisterà più nulla, non ci sarà più luce, ancora pochi istanti e sarà buio. Questione di minuti, poi la temperatura si abbasserà e tu ti alzerai svogliatamente da quella sedia, con la certezza che il giorno è morto e che dovrai attendere fino a domani per incontrare di nuovo il sole.
Ma sarà un altro sole, diverso da quello che ti sta carezzando in questo momento.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

domenica 9 agosto 2009

L'ostaggio

L’ostaggio venne catturato di mattina presto. Molto presto. Lo colsero nel dormiveglia, in quella fase del sonno in cui non si sta più dormendo profondamente ma non si è ancora del tutto svegli. Uno stato a metà tra coscienza ed incoscienza, quando i pensieri non sono ancora sotto il controllo della parte razionale, ma neppure in completa balia del sogno. L’ostaggio venne catturato durante l’infanzia.
Fu un lavoro ben fatto, da professionisti. All’ostaggio non fu torto un capello, passò dalla libertà alla schiavitù dalla mattina alla sera, ma in maniera assolutamente indolore. Non si accorse di nulla, anche perché non avrebbe mai potuto sospettare delle persone che lo rapirono. Erano tutte facce note, degne della massima fiducia, alla presenza delle quali era abituato già da molto tempo, fin dalla nascita. L’ostaggio conosceva bene i suoi carcerieri, erano i suoi genitori.
Si trattò di un rapimento atipico. Nessuna richiesta di riscatto, nessuno che reclamò la liberazione del prigioniero. Molti sapevano, nessuno parlava. Nessuno si scandalizzò o protestò o sollevò la minima obiezione, sembra che questo genere di sequestri sia sempre stato considerato legale, una specie di diritto di proprietà che i genitori esercitano sui figli sin dalla notte dei tempi; educazione la chiamano, come se l’uso di un termine così rispettabile possa rendere meno barbara questa consuetudine.
Fu una forma sottile di rapimento, subdola per certi versi, forse anche crudele. Perché l’ostaggio non sapeva della sua condizione di ostaggio e credeva di essere libero. Non vedeva la catena che lo teneva legato, non vedeva le pareti della cella e si muoveva, pensava ed agiva come se le sue scelte fossero autonome, come se dipendesse da lui fare o non fare certe cose.
A dire il vero venne trattato con tutte le attenzioni. Non gli fecero mai mancare nulla, si presero cura di lui in maniera assidua, completa, costante. Probabilmente eccessiva. Parteciparono ad ogni momento della sua crescita, indirizzandolo lungo la strada che ritenevano migliore, lungo la strada che essi avevano scelto per lui.
L’ostaggio cresceva felice ed ignaro, andando alla scoperta di un mondo che era solo una parte, quella che gli lasciavano vedere. Sviluppò delle convinzioni, una morale e qualche fantasia. Quelle che gli permisero di sviluppare.
Diventò adulto, si fece una posizione, operò scelte anche importanti e tutto senza deviare mai dalla strada maestra. Perché non voleva, credeva lui. Perché non poteva, in realtà.
Verso sera accadde però l’imprevedibile. L’ostaggio iniziò ad accusare strani sintomi: irrequietezza, disagio, momenti di confusione alternati a sprazzi di lucidità. Le cose si fecero ai suoi occhi sempre più nebulose, indistinte, il sospetto prese ad insinuarsi tra le pieghe dei suoi pensieri. Il sospetto di non essere libero, di non esserlo mai stato, di non avere gli strumenti e la forza per liberarsi. Lottò a lungo con queste idee, si consumò alla ricerca di una via d’uscita. Furono ore terribili, poi ad un tratto credette di vedere tutto chiaramente. Si sollevò dal torpore, prese coscienza di se stesso e cominciò a correre. Sempre più veloce, sempre più lontano, con le gambe, con la mente, con la fantasia… Correva, correva a testa bassa a più non posso, cercando di non pensare a nulla, cercando solo di allontanarsi il più possibile. Quando sfinito alzò gli occhi vide che non era andato da nessuna parte, che non si era spostato di un millimetro dal punto di partenza. Una lacrima gli rigò la guancia, quindi cadde in un pianto dirotto, poi iniziò a piovere.
Lo trovarono al mattino presto vicino alla porta della cella. Sembrava che dormisse.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

sabato 8 agosto 2009

Immaginazione vs verità

Quello che mi spaventa di più, credo, è la morte dell'immaginazione. Quando il cielo lassù è solo rosa e i tetti sono solo neri: quella mente fotografica che paradossalmente dice la verità, ma una verità senza valore, sul mondo. Io desidero quello spirito di sintesi, quella forza "plasmante" che germoglia, prolifica e crea mondi suoi con più inventiva di Dio. Se sto seduta ferma e non faccio niente, il mondo continua a battere come un tamburo lento, senza senso. Dobbiamo muoverci, lavorare, fare sogni da realizzare: la povertà della vita senza sogni è troppo orribile da immaginare.

[Sylvia PLath: "Diari"]

mercoledì 5 agosto 2009

domenica 2 agosto 2009

Castelli di sabbia


E poi decidi di prendere in mano la tua vita.
- Ognuno è artefice del suo destino - dici.
E ti senti libero. Libero e forte. Ti convinci che per realizzare qualsiasi progetto devi innanzitutto volerlo con tutte le forze. Ti dai da fare, cominci di buona lena a costruire il tuo castello dalle fondamenta. Credi in quello che fai, non esistono dubbi ma solo certezze. E lavori duro, non sei un tipo che si scoraggia davanti alle prime difficoltà, non senti la fatica. Guardi al futuro con ottimismo, con l'obiettivo sempre lì, ben fermo nella tua testa.
E’ bello vedere tanto entusiasmo, tanta fiducia nelle proprie possibilità. Dico sul serio.
E può darsi che alla fine abbia davvero ragione tu, che la vita non sia altro che il frutto del nostro lavoro, che il buon esito o meno del progetto che ci sta a cuore dipenda solo dall’impegno che ci mettiamo per realizzarlo.
Se davvero credi in tutto ciò, allora ascoltami, voglio darti un consiglio.
Non perdere tempo a guardarti intorno, gettati nella tua impresa anima e corpo, vai dritto per la tua strada senza prestare troppa attenzione a quello che incontri sul tuo cammino.
Potresti vedere cose che non ti piacciono e forse qualche dubbio finirebbe per minare il tuo castello di certezze. Guardando le facce di chi ti sta accanto potresti accorgerti che non sono tutte sorridenti, potresti vedere qualcuno che la vita non l’ha vissuta ma l’ha subita. Potresti incontrare qualcuno che, partito con le tue stesse ambizioni, è stato costretto a fermarsi. Potresti imparare che la sofferenza non è una compagna di strada che ci si sceglie, ma un campanello che ogni tanto suona a ricordarci che siamo uomini. Potresti scoprire con delusione che esiste qualcosa di più forte più forte anche della tua volontà, qualcosa capace di vanificare i tuoi sforzi in un batter di ciglia, un’entità chiamata Destino, che non guarda in faccia nessuno.
Ma se sei così forte, così risoluto, così sicuro di te, non prestare ascolto a queste parole. Non lasciare che qualche strano pensiero inquini la tua mente. Coraggio! Non indugiare! Riprendi in mano paletta e secchiello e torna a costruire il tuo castello di sabbia.
Prima che la risacca se lo porti via.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

sabato 1 agosto 2009

Il legame

Filosofo!
1. Le scrivo in risposta alla Sua lettera, quella che Lei si accinge a scrivermi in risposta alla lettera che le ho scritto
2. Un violinista si comprò una calamita e se la portò a casa. Lungo la via il violinista fu assalito da alcuni teppisti che gli fecero saltar via il cappello. Il vento afferrò il cappello e lo fece volare per la via.
3. Il violinista posò in terra la calamita e corse dietro al cappello. Il cappello cadde in una pozza di acido nitrico e l'acido lo bruciò.
4. E intanto i teppisti afferrarono la calamita e si nascosero.
5. Il violinista tornò a casa senza cappotto e senza cappello, perchè il cappello si era bruciato nell'acido nitrico, e il violinista, sconvolto per la perdita del suo cappello, aveva dimenticato il cappotto sul tram.
6. Il bigliettaio di quel tram portò il cappotto al mercato della roba vecchia e lo scambiò con panna acida, grano saraceno e pomodori.
7. Il suocero del bigliettaio fece indigestione di pomodori e morì. Il cadavere del suocero del bigliettaio fu messo all'obitorio, ma poi lo scambiarono e al posto del suocero del bigliettaio seppellirono una vecchietta.
8. Sulla tomba della vecchietta misero un paletto con la scritta "Anton Sergeevic Kondrat'ev".
9. Dopo undici anni questo palo, corroso dai vermi, cadde. E il guardiano del cimitero segò il palo in quattro pezzi e lo bruciò nella stufa. E la moglie del guardiano del cimitero su questo fuoco fece cuocere la minestra di cavolfiore.
10. Ma quando la minestra era già pronta, dalla parete cadde l'orologio dritto nella pentola con la minestra. L'orologio dalla minestra lo tirarono fuori, ma dentro l'orologio c'erano delle cimici, che così ora erano andate a finire nella minestra. La minestra la diedero al mendicante Timofej.
11. Il mendicante Timofej mangiò la minestra con le cimici e raccontò al mendicante Nikolaj della bontà del guardiano del cimitero.
12. Il giorno dopo il mendicante Nikolaj andò dal guardiano del cimitero e si mise a chiedere l'elemosina. Ma il guardiano del cimitero non diede nulla al mendicante Nikolaj e lo cacciò via.
13. Il mendicante Nikolaj si arrabbiò moltissimo e diede fuoco alla casa del guardiano del cimitero.
14. Il fuoco si estese dalla casa alla chiesa, e la chiesa bruciò.
15. Fu condotta una lunga inchiesta ma risultò impossibile individuare la causa dell'incendio.
16. Sul posto dove stava la chiesa costruirono un club, e il giorno dell'apertura del club organozzarono un concerto al quale prese parte il violinista che quattordici anni prima aveva perduto il cappotto.
17. E tra il pubblico sedeva il figlio di uno di quei teppisti che quattordici anni prima avevano fatto saltar via il cappello al violinista.
18. Dopo il concerto tornarono a casa con lo stesso tram. Ma il conducente del tram che veniva dopo il loro era quello stesso bigliettaio che allora aveva venduto il cappotto del violinista al mercato della roba vecchia.
19. Ed ecco che a tarda sera vanno in tram per la città: davanti il violinista e il figlio del teppista, e dietro di loro il conducente, ex bigliettaio.
20. Vanno in tram, e non sanno quale legame vi è tra loro, e non lo sapranno fino alla morte.

[Daniil Charms: "Casi"]