sabato 7 maggio 2011

Due ricordi. L'acrobata

DUE RICORDI

La prima volta che ho visto un acrobata è stato parecchio tempo fa.
Avrò avuto sei-sette anni e il ricordo è piuttosto confuso. Rammento che ero in macchina con i miei genitori e che eravamo capitati in questa città quasi per sbaglio. C’era un sacco di gente raccolta in una piazza e tutti guardavano verso l’alto. Non ricordo il filo sospeso né il funambolo, ma solo l’immagine della folla e la voce di mia madre che mi spiegava quello che sarebbe dovuto succedere. Fino allora non ero mai stato al circo né avevo mai sentito parlare di acrobati ed il primo pensiero che mi passò per la testa fu “Perché qualcuno decide di fare una cosa così pericolosa?” e subito dopo “Perché la gente si diverte ad assistere a queste esibizioni?”. Per fortuna ce ne andammo prima che lo spettacolo iniziasse: mi creava disagio sapere che da lì a poco un uomo avrebbe rischiato la vita per il piacere del pubblico.
C’è un altro ricordo nella mia memoria relativo ad un acrobata ed anche questo è datato agli anni dell’infanzia. Un telegiornale in bianco e nero, che trasmetteva le immagini di un funambolo, che in qualche parte del mondo (mi sembra fosse in Messico) si era sfracellato al suolo mentre provava a camminare su di un filo teso tra due palazzi. Si vedeva l’uomo muoversi sulla corda reggendo una lunga pertica per mantenere l’equilibrio. Dopo aver percorso senza problemi circa un terzo del cammino, rallentava l’andatura, sbandava un paio di volte ma riusciva a riprendere l’equilibrio. Poi l’ennesima sbandata e la caduta, inevitabile, nel vuoto. La pertica che scappa via, le mani che si agitano cercando un appiglio impossibile, il volo, lo schianto. Un’immagine ripetuta una, due, tre, cento volte. Il senso di impotenza davanti a quei fotogrammi. Assistere ad una tragedia e sapere di non poter fare niente per evitarla. E ancora quella domanda: “Perché uno decide di farsi una passeggiata su una fune sospesa a qualche centinaio di metri d’altezza?”. Megalomania, esibizionismo spinto all’eccesso? O piuttosto bisogno di attenzione, fragilità eccessiva?
E’ passato un sacco di anni e noto che non esistono più acrobati da strada che rischiano la vita in questo modo. Probabilmente perché è vietato dalla legge o forse perché il pubblico si è stufato di simili spettacoli.



***



L’ACROBATA

Alle volte mi sembra di essere una specie di acrobata.
Voglio dire che, alla soglia dei trentacinque anni, ripensando all’equilibrio interiore che mi sono costruito... beh, ho proprio l’impressione di assomigliare tanto a uno di quegli artisti da circo o di strada che si muovono su di un filo sospeso nell’aria.
Alla stregua di un acrobata avanzo con passo incerto, ondeggiando sulla mia corda, un occhio invidioso alla folla sottostante, ben sicura a terra, ed un occhio preoccupato al filo che vibra davanti a me. E’ un equilibrio fragile, certo. Ma pur sempre un equilibrio.
Perché mi vedo così? Probabilmente perché mi sento insicuro, non ho certezze granitiche sulle quali poggiare i miei passi. Sicuramente perché mi piace starmene sospeso sopra la testa della gente e percorrere una strada che è solo mia.
A volte penso che mi piacerebbe essere come gli altri. Seguire il loro cammino, con il conforto dato dalla consapevolezza di non essere solo, ma di avere intorno persone come me.
Eppure, quando penso a quella corda sospesa nel vuoto… so che non potrei farne a meno. Nessuno mi ha messo lì sopra, ci sono salito io, da solo.
Quella corda è la mia corda e quella strada è la mia strada.


[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

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