Se sappiamo che il nostro mondo è sempre il mondo con cui veniamo in contatto insieme ad altri, ogni volta che ci troviamo in contraddizione od opposizione con un altro essere umano con il quale vorremmo convivere, il nostro atteggiamento non potrà essere quello di riaffermare ciò che vediamo dal nostro punto di vista, ma quello di ammettere che il nostro punto di vista è il risultato di un accoppiamento strutturale in un dominio di esperienze valide tanto quanto quello del nostro interlocutore, anche se il suo ci appare meno desiderabile. Quello che resta da fare, allora, è la ricerca di una prospettiva più ampia, di un dominio di esperienza in cui anche l'altro abbia un posto e nel quale possiamo costruire un mondo con lui.
L'unicità dell'essere umano, il suo patrimonio esclusivo, consiste in questo, nell'attribuirsi un accoppiamento strutturale sociale in cui il linguaggio ha un doppio ruolo: da una parte quello di produrre le regolarità proprie dell'accoppiamento strutturale sociale umano, che comprende, fra l'altro, il fenomeno delle identità personali di ognuno; dall'altro quello di costituire la dinamica ricorsiva dell'accoppiamento strutturale sociale, che produce la riflessione che a sua volta dà luogo all'atto di osservare con una prospettiva più ampia, all'atto di uscire da quello che finora era invisibile o inamovibile, permettendo di vedere che come esseri umani abbiamo solo il mondo che creiamo insieme agli altri. A questo atto di ampliamento del nostro dominio conoscitivo riflessivo, che implica sempre una nuova esperienza, possiamo giungere o perché i nostri ragionamenti sono rivolti verso esso, oppure, e più direttamente, perché qualche circostanza ci porta a guardare l'altro come uguale a noi, in un atto che generalmente chiamiamo di amore, o, se non vogliamo usare una parola tanto forte, di accettazione dell'altro da parte di qualcuno nella convivenza.
[Humberto Maturana Francisco Varela: "L'albero della conoscenza"]
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