mercoledì 29 febbraio 2012
domenica 26 febbraio 2012
Un magazzino, un mulino o un laboratorio
“Ecco cosa le dirò. Certamente le è
capitato di andare in campagna. Se ha notato, in ogni villaggio c'è
uno scemo e un saggio. Un contadino qualsiasi. La sua testolina sta
tutta in un pugno e anche il cervello non sarà un granché. Ma lui
pensa in modo chiaro e sensato, sulla scorta di quello che sa della
vita e della propria esperienza personale. Ed è questo che le
consiglio di fare. Il cervello umano si distingue non solo per le
dimensioni, ma anche per il modo con cui si appropria del materiale
che apprende. Semplificando il cervello può essere considerato come
un magazzino, un mulino o un laboratorio chimico. Un magazzino può
essere molto capiente, ingombro di molti oggetti, ma più oggetti ci
sono, più è difficile sistemarli. Il mulino è in grado di macinare
solo quello che vi si versa dentro. Può anche essere piccolo e
primitivo, ma se il grano è buono, ne farà una farina niente male.
Se si prende, invece, un mulino grande, moderno, con buone macine e
bagli ideali, e ci si mette dentro del grano scadente, non si tirerà
fuori niente di buono. Il cervello più raffinato è quello creativo:
il laboratorio chimico. Ci si mette dentro quello che si vuole e ne
esce qualcosa di completamente nuovo, una sintesi. E' così che
funziona tutto: il sapere, la memoria, la capacità di pensieri
originali. Un cervello del genere si incontra raramente, è raro
anche in chi ha la testa grossa.”
“Certamente Lenin aveva un cervello
così”, proposi io.
“Lenin?” chiese di rimando
l'Ammiraglio stupito. “Cosa dice? Lenin aveva un cervello
ideologico. Un altro tipo ancora, anch'esso che si incontra
raramente. Non magazzino, non mulino, non laboratorio, ma una specie
di stomaco cerebrale. Lo si riempie dei cibi più diversi di alta
qualità, e tutti vengono digeriti e trasformati in merda.”
“Be', allora”, mi rallegrai per
aver trovato la definizione, “vuol dire che anche Šubkin
ha un cervello-stomaco.”
“No, no”, obiettò il mio
interlocutore. “ Šubkin
ha appunto un cervello-mulino. Se ci si mettesse un buon grano,
potrebbe venir fuori la farina. Ma lui ha caricato il proprio mulino
con la merda leninista e all'uscita ci si trova ancora merda.”
Gettai nel fuoco i fondi de tè e mi
feci una seconda porzione.
“Anche per lei il bis?” chiesi
all'Ammiraglio.
“Sì, grazie.”
“Alla fin fine vorrei tirare le somme
della conversazione che abbiamo iniziato”, dissi. “Dunque lei
ritiene che un uomo può essere molto istruito, sapere tante cose,
possedere una memoria fenomenale, avere capacità straordinarie per
le lingue e con tutto ciò essere semplicemente un cretino?”
“Be',
sì”, assentì l'Ammiraglio. “Il suo Šubkin
ne è un esempio.”
“E Lenin?”
“Anche Lenin è un
cretino”, disse tranquillamente l'Ammiraglio.
E qui io non mi trattenni più.
“Be', sa”, dissi, “lei,
naturalmente, è un originale e un amante dei paradossi, io stesso
sono critico nei confronti di Lenin, ma da qui a chiamarlo cretino...
ce ne vuole. Ha rovesciato il mondo intero.”
“A che scopo?”
“A che scopo è un'altra
faccenda.”
“Eh no”, si scaldò finalmente l'Ammiraglio. “Non
è affatto un'altra faccenda. L'ho già spiegato al suo Šubkin.
Colui che si prefigge uno scopo e lo realizza è una persona
intelligente. Ma chi si prefigge uno scopo irrealizzabile e non
capisce che è irrealizzabile, non può considerarsi intelligente.”
“Be', sul piano pratico, poniamo, lei
può avere anche ragione. Ma Lenin si era prefisso uno scopo
grandioso, non uno qualsiasi.”
“Perciò non è un cretino
qualsiasi”, disse l'Ammiraglio. “E' un cretino grandioso. Se lo
scriva sul suo quadernetto: Lenin è un cretino grandioso.”
L'Ammiraglio tacque per un momento, poi
decise che il suo pensiero andava argomentato almeno un po'.
“Io...”, disse, “a differenza di
lei, ho avuto tempo... me lo sono letto da cima a fondo. Lui,
scusatemi, si è smerdato completamente. In tutti i sensi. Ha fatto
la rivoluzione, s'è impadronito del potere, ha rovesciato la Russia,
ma per che cosa? Dove sarebbe quello che aveva previsto? Dov'è il
comunismo? Perché il capitalismo è ancora vivo, se già ai suoi
tempi aveva raggiunto l'ultimo stadio? Šubkin,
a riprova dell'intelligenza di Lenin, diceva che dopo la rivoluzione
lui aveva capito che si erano spinti troppo in avanti, per questo
decise di tornare in parte al capitalismo e istituì la NEP. Ma non è
stupido distruggere quello che era già bell'e fatto per poi
ritornarvi in parte? Nel complesso, lo ripeto, il vostro Lenin era un
grandioso cretino, o un cretino geniale, se vi piace di più così.”
Era già tardi, ma io, rischiando di
perdere l'ultimo autobus, chiesi all'Ammiraglio cosa pensasse di
Stalin. Un cretino anche lui?
“No”, disse l'Ammiraglio
avvolgendosi nel plaid. “Stalin non era affatto un cretino. Lui si
era posto degli obiettivi ben chiari e li realizzò con precisione.”
“Ma ciononostante lui
diceva...”
“Cosa c'entra quello che diceva” sbadigliò
stancamente l'Ammiraglio, “Conta quello che faceva. E lui faceva
sempre quello che voleva.”
[Vladimir Voinovič: "Propaganda monumentale"]
sabato 25 febbraio 2012
Fissità
Da me a quell'ombra in bilico tra fiume e mare
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell'uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient'altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.
[Vittorio Sereni]
solo una striscia di esistenza
in controluce dalla foce.
Quell'uomo.
Rammenda reti, ritinteggia uno scafo.
Cose che io non so fare. Nominarle appena.
Da me a lui nient'altro: una fissità.
Ogni eccedenza andata altrove. O spenta.
[Vittorio Sereni]
domenica 19 febbraio 2012
I
Sì,
le avevo detto.
Sì,
le avrò detto un milione di volte.
Ho
sempre cercato di accontentarla. Sembrava felice.
Sì,
mi diceva.
Ma
io non sapevo mai cosa pensasse davvero.
Sì,
dicevano le parole. Ma gli occhi... quelli scivolavano via: né accesi, né spenti.
Eppure
io c'ero sempre per lei:
a
versare parole suoi suoi silenzi,
a
colorare le parti del foglio che rimanevano bianche,
Ad
aprire le finestre per dare luce al buio,
ad
annodare i fili che si erano rotti.
A
nascondere le ombre nel fondo dei cassetti.
Sì,
lui c'era sempre.
Ad
aprire le finestre per far entrare la vita e lasciar uscire i sogni.
A
ricucire la tela, a riparare, ad ordinare.
Sì,
lui era bravo ad aggiustare le cose,
quello
che non sapeva fare era accendere la luce.
Non
capisco perché è successo, è questo che mi fa più male.
Non
capiva, è questo.
[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]
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Xenia Dubinina
sabato 18 febbraio 2012
Frammento di tempesta
un fiocco di neve, tormenta al singolare, impalpabile,
è entrato in camera tua e s'è fatto la strada fino al bracciolo
della poltrona dove tu, alzando lo sguardo
dal libro, lo scorgesti nell'attimo in cui si posava. Tutto
qui. Null'altro che un solenne destarsi
alla brevità, al sollevarsi e cadere dell'attenzione,
rapido, un tempo tra tempi, funerale senza fiori. Null'altro
tranne la sensazione che questo frammento di tempesta,
dissoltosi davanti ai tuoi occhi possa tornare,
che qualcuno negli anni a venire, seduto come adesso sei tu, possa dire:
"E' ora. L'aria è pronta. C'è uno spiraglio nel cielo."
[Mark Strand: "L'inizio di una sedia"]
mercoledì 15 febbraio 2012
domenica 12 febbraio 2012
Portare sacrifici agli dei
Passare
tra due ali di folla che ti si stringono intorno.
Provare imbarazzo
per essere l’unico attore sulla scena. Camminare a capo chino, per
non incrociare gli sguardi della gente. Sbirciare di soppiatto e
scoprire che i loro occhi ti sorridono, ti guardano compiaciuti.
Compiaciuti per il figliol prodigo che ha fatto ritorno a casa, per
la pecorella smarrita rientrata all'ovile.
Ricambi impacciato quei sorrisi, ti allacci sul viso un’espressione il più possibile
simile alla loro. Avanzi
con passo incerto sperando di arrivare presto, anche se
non sai dove stai andando. Ti sforzi di immaginare cosa pensano, cosa si aspettano che tu faccia.
Pensi che dovresti
mostrarti sereno, tranquillo. Ma anche un po’ contrito, dispiaciuto. Pensi che un’espressione così non ce l’hai
e che non sai se riuscirai ad apparire come loro si aspettano.
Hai
scelto per questo giorno il tuo vestito più grigio. Hai curato i
particolari, evitando di indossare qualcosa che ti possa mettere in evidenza. Lungo la strada alzi lo sguardo cercando un po’ di comprensione nei volti della folla ma non
riconosci nessuno, sembrano tutti uguali. Allora chiudi gli occhi e sogni di riaprirli quando sarà tutto finito. Anzi no, non
puoi più sognare, l'hai promesso.
Non
sai neppure perché ti trovi lì in mezzo, sai solo che sta
succedendo. Portare sacrifici agli dei, lo chiamano loro, e tu non
sei abituato a fare tante domande. Pensi che è giusto così, che in
fondo è cosa di un attimo e non dovresti neppure sentire molto
dolore. Pensi che in fondo quello che stai facendo è quello che
fanno tutti.
Passare
tra due ali di folla che ti si stringono intorno. Sembra che questa
strada non debba finire mai, sembra che quegli sguardi che si
infilano come frecce nelle tue carni non debbano cessare.
Ti fai
coraggio, ti dici che probabilmente il
traguardo è proprio dopo quelle persone là in fondo. Man
mano che avanzi prendi sicurezza, le tue gambe si fanno meno incerte,
i movimenti più sciolti. Adesso cammini a testa alta e pensi che lo scopo
di quello che stai facendo è proprio questo: sentirsi come gli
altri, sentirsi normale,
e provi un brivido mentre lo pensi. Cammini a testa alta e ti senti
forte e non ti fanno paura le occhiate della gente. Cammini a
testa alta e i loro sguardi indagatori ti scivolano addosso, come le
lacrime che ora ti segnano il viso.
[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]
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sabato 11 febbraio 2012
Don Delillo: Mao II
Un libro sul futuro che Delillo immagina (è del 1991) e che noi viviamo.
Un futuro che è delle masse e dell'immagine, dove le cose esistono solo se c'è una telecamera che le documenta. Un futuro mcluhaniano, di folle senza identità (le seicentocinquanta coppie di sposi dello Yankee Stadium, la strage dell'Heysel, i funerali di Khomeini, la rivolta di piazza Tienanmen) che scorrono attraverso le pagine come fotogrammi di un video: realtà che ha bisogno dell'immagine per essere sostanziata. Un mondo dove ciò che conta è l'immagine dello scrittore, non quello che scrive. Un mondo dove anche la vita o la morte di un ostaggio sono meno importanti della risonanza mediatica dell'evento.
Sullo sfondo di una New York che sembra Beirut, ognuno dei personaggi cerca di uscire dall'angolo costruendosi la sua realtà. "Ciò che abbiamo di fronte a noi rappresenta una cosa." - scrive Delillo - "Il modo in cui l'analizziamo, la descriviamo e la codifichiamo è qualcosa di completamente diverso." E così la fotografa Brita cerca di cogliere la realtà nei soggetti dei suoi scatti, Scott compilando liste delle cose da fare, per darsi un ordine e un senso di pulizia, Karen incontrando gli altri, "sentendo" le loro sofferenze, entrando ed uscendo dal mondo degli oggetti e Bill, lo scrittore protagonista del romanzo, nella prima parte rimanendo nascosto nel suo rifugio per riscrivere all'infinito un libro già terminato pur di non confrontarsi con una realtà (quella dell'immagine) nella quale non si riconosce e nella seconda decidendosi a scendere nel mondo degli altri per provare a comprenderlo senza filtrarlo attraverso la scrittura.
[Don Delillo: "Mao II"]
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venerdì 10 febbraio 2012
domenica 5 febbraio 2012
Primo Gennaio
Scivola
silenziosa sull'acqua immobile
una
barca che passa - lontano
sfiora
i flutti, suscita sogni,
si
lascia alle spalle scie di spuma bianca.
Velo
di sposa che striscia verso l’altare,
strappo
nella carne che il mare ricuce.
Sono
la barca che esce dall'ombra,
figliol
prodigo che torna alla casa paterna.
Allento
le cime, poi spiego le vele,
annuso
l'aria e tendo le orecchie
attratto
dall'incanto delle mie sirene.
Non
importa che nulla accada,
finché
posso immaginare che tutto accadrà.
[Lars W. Vencelowe: "Mater mare"]
sabato 4 febbraio 2012
Wisława Szymborska. In memoria
Elogio dei sogni
dipingo come Vermeer van Delft.
Parlo correntemente il greco
e non solo con i vivi.
Guido l’automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
Odo voci
non peggio di autorevoli santi.
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ossia con le mie forze.
Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.
Non ho difficoltà
a respirare sott'acqua.
Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l’Atlantide.
Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l’altro ieri un pinguino.
Con la massima chiarezza.
[Wisława Szymborska: "Vista con granello di sabbia"]
mercoledì 1 febbraio 2012
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