domenica 10 giugno 2012

esiste bellezza paragonabile a quella d'una osteria a primo mattino?



“tu non mi capisci se credi che siano tutte tenebre quelle che vedo, e se insisti nel crederlo, come posso dirti perché lo faccio? Ma se guardi la luce del sole là, oh, allora forse avrai la risposta, capisci, guarda il modo in cui essa penetra attraverso la finestra: esiste bellezza paragonabile a quella d'una osteria a primo mattino? I tuoi vulcani fuori? Le tue stelle... Ras Algethi? Antares che infuria a sud-est? Perdonami, no. Non tanto la bellezza necessariamente proprio di questa, che, decadenza da parte mia, non è forse una vera e propria osteria, ma pensa a tutte quelle terribili altre, dove la gente impazzisce all'idea che calino le saracinesche, perché nemmeno le porte del cielo, spalancandosi a ricevermi, potrebbero colmarmi d'una così celeste gioia, complessa e disperata come quel crivello di ferro che si arrotola all'insù con uno schianto, come quelle porte battenti, non affrancate da chiavistelli di sorta, che sospinte danno accesso a chi ha l'anima che trema insieme con il liquore che si porta con mano malferma alle labbra. Ogni mistero, ogni speranza, ogni delusione, sì, ogni disastro, è qui, oltre quelle porte battenti. E, a proposito, vedi quella vecchia di Tarasco seduta in un angolo, non la vedevi prima, ma la vedi ora?” le domandarono gli occhi di lui, guardando intorno con la lucentezza stupefatta e sfocata di quelli di un amante, le chiese, l'amor suo, “come puoi, a meno che tu non beva come me, sperare di capire la bellezza di una vecchia di Tarasco che viene qui a giocare a domino alle sette del mattino?”

[Malcolm Lowry: “Sotto il vulcano”]

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