Una storia d’altri tempi, raccontata con un ritmo d’altri
tempi. Una prosa “pulita”, fatta di parole che si posano leggere sulla pagina,
frasi brevi che cuciono insieme un libro di memorie.
Una lunga lettera al figlio, il pretesto per ripercorrere un
vita fatta anche delle vite degli altri. Ricordi, importanti ma anche
insignificanti, uniti insieme a costituire il bagaglio della voce narrante, il
predicatore John Ames. I ricordi di bambino, di quando l’emozione arrivava
prima della comprensione, si mescolano alle esperienze più recenti, che ci
restituiscono il ritratto di un uomo vecchio e malato animato dalla sensibilità
di un ragazzino, un uomo capace ancora di guardare le cose e la vita con
stupore e ammirazione.
L’uomo
è attore e Dio il pubblico, dice John Ames. Un pubblico
che però non è lì per giudicare ma per valutare, con un comportamento più
“estetico” che censorio, togliendo di colpo quella cappa di pesantezza, giudizio,
colpa e pena che appesantisce la religione, privilegiando l’aspetto gioioso
della fede.
John Ames non ha paura a dire che gli mancherà il mondo
terreno, è un uomo di Chiesa, ma con i piedi ben piantati nella terra, nel
senso che non è immune da passioni come la gelosia e i rimpianti e non nasconde
i dubbi nell'interpretazione dei libri della fede.
Gilead
è un bel libro, che parla della vita di uomini senza celarne le umanissime miserie mettendo però l'accento sui momenti di tenerezza, sulla compassione e sulla pietà, Gilead è il ritratto di un uomo che ha vissuto, un uomo buono che ha
visto la bellezza della vita e ha saputo riconoscerla.
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