Mah...
Secondo
approccio alle letteratura neogreca (dopo Il
loro profumo mi fa piangere di Menis
Kumandareas) e seconda parziale delusione.
Scrittura ampollosa,
poco scorrevole, con descrizioni d’ambiente ridondanti all’eccesso.
(…più
in basso, lungo il dolce pendìo del monte, i rami spogli dei pioppi
somigliavano a bende d’argento distese tra gli olmi purpurei. Fitte macchie di
bosco si alternavano alla terra nera della pianura, che inviava il suo profumo
fin lassù, coperta da una caligine simile a una nuvola bassa, e si estendeva a
perdita d’occhio, mentre le tenebre sollevatesi da oriente, che si dilatavano
come l’inchiostro su un tessuto, coprivano gli alberi, i campi, i villaggi
punteggiati di luci, e, in fondo, la città e la caserma…)
Il libro è
abitato da una serie di personaggi abbastanza piatti e poco sviluppati (forse,
e solo parzialmente, lo è il protagonista). Invece di far emergere le idee
dalla narrazione, Pansèlinos le espone direttamente (e spesso si tratta di cose
scontate).
La trama è
costituita da due storie che si alternano (e anche questa non è una trovata esattamente
originale): una è rappresentata dal classico romanzo di formazione e l’altra da
una specie di apologo fantascientifico. Il ritmo con il quale le due parti
della narrazione si succedono si fa sempre più serrato con il procedere della
storia, fino ad un finale quasi frenetico nel quale sembrano scivolare l’una
nell’altra, finale che – se non altro – ha il pregio di non essere scontato.
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