sabato 18 marzo 2017

Marina Cvetaeva – Le notti fiorentine

  
“s'i' fosse foco…”


Le notti fiorentine è una raccolta di lettere datate 1922, nove scritte dalla Cvetaeva a Abram Višnjak, proprietario della casa editrice Gelikon, e una indirizzata da lui a lei. Lettere che se non aggiungono nulla al valore poetico della scrittrice, qualcosa ci dicono sulla sua personalità e sui meccanismi alla base della vena creativa della grande poetessa russa. Una personalità che si nutriva di passioni, che ne aveva bisogno per costruire su di esse il castello della sua costruzione letteraria. La grande poesia per nascere necessitava di un grande fuoco che l’accendesse, una pira sulla quale la Cvetaeva immolava ogni bene e soprattutto se stessa con una dedizione totale alla causa (“ho sempre preferito far dormire piuttosto che togliere il sonno, nutrire piuttosto togliere l’appetito, far riflettere piuttosto che perdere la testa. Ho sempre preferito dare a togliere, dare a ricevere, dare – ad avere.”, scrive nella Lettera Ottava). Passioni che erano vere finché erano in grado di incendiarle l’animo, e pazienza se alla fine quello che lasciavano erano solo cicatrici e macerie bruciate (“è soltanto perché cerco di vivere.” – scrive nella Lettera Nona – “Vivere vuol dire tagliare e infallibilmente sbagliare e poi rattoppare. Ogni volta che cerco di vivere mi sento una misera sartina che non confezionerà mai niente di bello, che riesce soltanto a far guasti e ferirsi, e che lasciando all’improvviso tutto – forbici, pezze, rocchetto – si mette a cantare.”): il grande dolore o la grande delusione che subentravano alla fine di un grande amore erano anch’essi materiale potente, destinato a diventare Arte sublime nelle mani sapienti della Cvetaeva.
Concetti questi espressi molto bene da Sergej Efron, il marito dell’artista, in una lettera del 1924 a Maksimilian Vološin:
Marina è una creatura di passioni.” – scrive Efron – “Gettarsi a capofitto nell’uragano è divenuto per lei necessità, aria della sua vita. Chi sia oggi la causa scatenante dell’uragano — non importa. Quasi sempre (oggi esattamente come prima), anzi, sempre, tutto è costruito sull’autoinganno. Una persona viene inventata, e comincia l’uragano. Se la nullità, la mediocrità della causa scatenante vengono scoperte presto, Marina si abbandona a un’altrettanto uraganesca disperazione. È una condizione, la sua, che si allevia solo con la comparsa di un nuovo amore. Cosa — non importa, importa il come. Non la sostanza, non la fonte, ma il ritmo, il ritmo indemoniato. Oggi disperazione, domani entusiasmo, amore, nuovo gettarsi anima e corpo, e il giorno dopo, di nuovo, disperazione. E tutto questo in presenza di un’intelligenza acuta, fredda, starei per dire cinicamente voltairiana. Le cause scatenanti di ieri, oggi vengono derise in modo spiritoso e crudele (quasi sempre a ragione). Tutto viene trascritto in un libro. Tutto si riversa tranquillamente, con matematica precisione, in una formula. Come una grandissima stufa che, per funzionare, ha bisogno di legna, legna, legna. La cenere inutile viene gettata via, e la qualità della legna non è importante. Finché il tiraggio è buono, tutto si trasforma in fiamma.”

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