No, a differenza di quanto afferma Matteo Nucci
nella prefazione, il libro che abbiamo in mano non brucia. Almeno non più. Nei
quarantacinque anni trascorsi dalla data di pubblicazione la sua carica
eversiva si è abbondantemente attenuata e questo, probabilmente, ci permette di
apprezzarlo meglio.
Sbiadite via via le patine di scandalo, volgarità,
underground, rock, ribellione… rimangono loro: Faccia d’angelo, il principe, Carambola,
Rossetto, Ciambella e gli altri “innocenti” che abitano questi racconti. Rimane
la voglia di vivere di un gruppo di ragazzi di strada, un microcosmo dal quale
gli adulti sono esclusi e che si organizza attraverso le regole del branco.
Rimane il conflitto tra voglia e paura di crescere alla svelta, tra desiderio
di bruciare le tappe e timore di non essere all’altezza delle circostanze. Rimane
l’occhio accondiscendente di Reynoso, che descrive questi giovani in balia
della vita “dal di dentro”, mettendosi in mezzo a loro, parlando come parlano
loro e “sentendo” come sentono loro, attraverso il tatto, il gusto, l’olfatto,
raccontandoci le loro emozioni, le loro paure, le insicurezze di chi cammina
sul ciglio del precipizio senza comprenderne il rischio.
Rimane, soprattutto,
la grande empatia dell’autore, che guarda a questi bambini che vorrebbero
essere uomini cercando a modo suo di proteggerli, come a fare le veci di un
padre che manca: “Sei triste perché sai
che un ragazzo come te può perdersi”, dice al protagonista dell’ultimo
racconto. “Tu invece vuoi essere bravo:
lo so. Se hai sbagliato è per via della tua famiglia, povera e rovinata, per la
tua quinta, caotica e degradata; per il tuo quartiere, che è un vero inferno; e
per la tua Lima. Perché ovunque a Lima la tentazione ti divora: biliardi,
cinema, scommesse, bar. E i soldi. Soprattutto i soldi, bisogna trovarli a
tutti i costi. Ma io so che sei bravo e che un giorno troverai un cuore all’altezza
della tua innocenza.”
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