sabato 26 agosto 2017

Primo Levi – Se questo è un uomo

Ragione e sentimento

Ci sono libri della cui importanza sei perfettamente consapevole. Eppure li hai sempre evitati. Sono i libri che parlano del male, del dolore che l’uomo infligge a se stesso. È come quando incontri qualcuno che ha appena subito un lutto e non sai cosa dirgli, perché qualsiasi parola suonerebbe inadeguata. Ti senti a disagio, come a disagio ti senti davanti a quest’opera. Perché l’Olocausto è un lutto troppo grande per pensare di poterlo avvicinare con le parole.
Levi, che pure quell’esperienza l’ha vissuta, le parole le ha trovate. E sono parole sorprendenti: non c’è odio in queste pagine, ma precisione chirurgica, voglia di comprendere i misteri dell’animo umano, analisi accurata dei comportamenti.

Se questo è un uomo è un’opera in equilibrio perfetto tra ragione e sentimento, un asse sospeso nel vuoto sul quale Levi cammina con passo sicuro, sfidando i venti impetuosi dell’emotività che accompagnano il ricordo. Una passeggiata pericolosa ma necessaria, perché è fatta nel in nome della Verità. 

domenica 13 agosto 2017

Triste come lei – Juan Carlos Onetti




“Per me, ormai lo sapete, i fati nudi e crudi non significano niente. L’importante è quello che contengono o quello che comportano; e poi constatare cosa c’è dietro una cosa e dietro ancora fino al fondo definitivo che non raggiungeremo mai.”


Partiamo da qui. Da una dichiarazione d’intenti che racchiude l’intera poetica onettiana, ma che a pensarci bene potrebbe adattarsi anche a uno scrittore stilisticamente lontanissimo dal maestro latinoamericano come R. Carver, a testimonianza che spesso i grandi artisti partono da idee condivise che poi sanno sviluppare in maniera originale.

Partiamo da qui e diciamolo subito: “Triste come lei” è un capolavoro, una serie di racconti che vanno dal 1933 al 1974 e che costituiscono la summa del pensiero di J.C. Onetti.

Qui dentro ci sono più o meno tutti i temi che lo scrittore uruguaiano ha approfondito nei romanzi: c’è la necessità di appoggiarsi al sogno e di credere nelle menzogne per riuscire a sopravvivere nel mondo reale,  e c’è la consapevolezza dell'ineluttabilità del destino, con la conseguente compassione per gli uomini che si illudono di essere gli artefici delle loro fortune mentre in realtà sono solo i figuranti di una commedia scritta da altri. C’è il ricordo, che il tempo trasforma in qualcosa di diverso, modificando quello che è stato in quello che avrebbe potuto essere, e ci sono  il rimpianto e la sconfitta, la solitudine e quel bisogno di espiare al quale non riusciamo mai a sottrarci, condannati a una pena chiamata vita.


E poi c’è la scrittura di Onetti: la capacità di dare profondità ai personaggi attraverso la descrizione di aspetti contradditori del loro carattere e la bellezza di frasi a volte pesanti come sentenze e altre leggere come pennellate, frasi apparentemente semplici ma che contengono all’interno una polverina magica in grado di suscitare immagini e accendere la fantasie del lettore.

Sembra di vederlo, il protagonista del “Il volto della disgrazia”, quando racconta che  “la luce spingeva l’ombra della mia testa fino al bordo del sentiero di sabbia fra gli arbusti”. E anche la ragazza dello stesso racconto che arrivando in bicicletta “muoveva con facile lentezza le gambe, con tranquilla arroganza le gambe riparate da calze grigie” (facile/lentezza e tranquilla/arroganza…). E ancora: il protagonista che dopo aver visto la ragazza calcola “che ci separavano venti metri e meno di trent’anni” e poi rimane a guardare la morte del sole era gli alberi e che scivola “in un lento sonno, in un mondo oliato e senz’aria, dov’ero stato condannato ad avanzare, con enorme sforzo e senza voglia, a bocca aperta, verso l’uscita dove dormiva l’intensa luce indifferente del mattino, irraggiungibile”.


Inutile proseguire, per quanto mi riguarda con “Triste come lei” si chiude la mia caccia al più grande narratore di sempre. 
Juan Carlos Onetti è il più grande di tutti.

domenica 6 agosto 2017

Ricardo Piglia - La città assente



 
Un libro di storie. Storie simili ad automobili che percorrono  le strade di una città: ce ne sono di grandi e di piccole, di nuove e di vecchie. Storie che corrono parallele per un po’ e poi si separano, storie che si incrociano, che si superano, che si fermano. Storie che a volte sfrecciano nella notte così veloci da non riuscirle a vedere, ma solo a intuirne il passaggio.
Sono le storie create dalla macchina di Macedonio Fernandez, che teorizza il racconto come base della realtà. Il potere della parola, simile a quello del soffio divino, è uno dei topoi della letteratura latino-americana (e non solo) che qui innesca una meta-narrazione elevata all’ennesima potenza, che sfugge però al facile luogo comune del gioco letterario grazie all’estremo rigore che caratterizza la narrazione.
Dopo Respirazione artificiale, ancora una bella prova di quel grande scrittore e  raffinato intellettuale che è stato Ricardo Piglia.