Equilibrio, armonia, misura, mestiere, sentimento,
compassione, malinconia, memoria… ecco gli ingredienti che danno sapore a
questa raccolta.
Lo stile di Trevis è uno stile lineare, privo di
sensazionalismi e di voglia di stupire e questa già è una notizia, ché a guardarsi
in giro è tutto uno sgomitare, un cercare di stupire, di distinguersi, con il
risultato che spesso la scrittura finisce per venire prima della storia (quando
c’è, la storia…). Tra le pagine di Uomini
d’Irlanda non troverete nessuna frenesia, nessuna sovrapposizione dei piani
narrativi, ne meta-qualcosa o altri artifici stilistici, perché la trama di
questi racconti ha le spalle forti e ha bisogno solo di una scrittura che la
supporti senza prevaricarla.
Una scrittura, quella di Trevis, che fa pensare ad
Alice Munro ma soprattutto a Marilynne Robinson anche per quanto riguarda i
temi trattati, perché al centro di questi racconti ci sono i rapporti tra le
persone, il non detto, le cose successe tanto tempo prima e quelle che invece avrebbero
potuto succedere. Le storie di Uomini d’Irlanda
sono storie di abbandoni, di inganni, di vite trasformate da un episodio e
di vite che non possono più cambiare, di destini compiuti, di bisogno disperato
d’amore, sono storie sul tempo che corre via troppo veloce e sul tempo che
rimargina le ferite. I racconti che compongo questa raccolta girano intorno agli
equilibri fragili sui quali si reggono le vite delle persone, sono racconti nei
quali a volte basta un passo al di fuori del cono di luce che illumina la
strada per trovarsi nel territorio del dubbio, dell’incerto, in un luogo nel
quale le cose a volte non sono quello che sembrano o forse sì.
I racconti di Uomini
d’Irlanda sono racconti eleganti e bellissimi.
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