Per sempre – Richard Ford
(trad. Cristiana Mennella)
Feltrinelli editore (I ed. 2023)
La vita è un pasticcino invaso dalle formiche.
Frank Bascombe si presenta appesantito all'ultimo giro di pista. Gli anni passano, e anche se rimane il solito antieroe che abbiamo imparato a conoscere negli altri capitoli della saga, preoccupato unicamente di "salvare la situazione", qui si cala nel ruolo con qualche difficoltà in più.
Certo, la situazione non sembra dargli una mano, e proprio mentre è impegnato a tracciare un bilancio della sua esistenza, abbandonandosi a una serie di speculazioni sul tema della felicità, ecco che arriva la notizia del figlio condannato da una diagnosi infausta come quella di SLA e il buon Frank si ritrova a fare i conti con la drammaticità di una realtà che nessuno vorrebbe mai affrontare. Dalla vita alla morte, dalla felicità alla disperazione, d'un tratto l'occupazione di Bascombe diventa mantenere la barca in linea di galleggiamento, senza preoccuparsi più di tanto della rotta e accontentandosi dei brevi lampi di luce che il buio della vita gli lascia intravedere.
La trama è sottile sottile (un viaggio padre-figlio al Monumento nazionale del Monte Rushmore, quello delle sculture dei quattro presidenti), la scrittura scorrevole, semplice, a tratti piatta, ma ciò che convince meno è il registro utilizzato da Ford, un'ironia che galleggia a tratti tra cinismo e cazzeggio post-adolescenziale ("forse potremmo parlare di più. Invece di fare solo battute" – ammette il protagonista); probabilmente si tratta di un filtro per non andare fino in fondo ed evitare di affrontare la situazione in maniera diretta, ma da uno scrittore come Ford ci si aspetterebbe di più, anche perché ha già dimostrato (penso, ad esempio, a Lo stato delle cose) di saperlo fare egregiamente. Così finisce che anche i dialoghi – che formalmente sarebbero dei veri pezzi di bravura – lascino insoddisfatti, al punto che il protagonista riesce a dire qualcosa di veramente incisivo riguardo al tema del libro solo nelle prime e poi nelle ultime pagine, in monologhi nei quali Bascombe si mette a nudo con la schiettezza che l'ha contraddistinto negli altri romanzi di Ford e si dimostra in grado di regalarci interessanti osservazioni sulla sua idea di letteratura.
"Ho scoperto che i giovani scrittori sono tutti brillanti; capacissimi di capire e indicare con precisione la causa di qualcosa. Cosa causa il desiderio. Cosa causa il senso di colpa. Cosa causa inquietudine e disperazione o gioia. Perché la tragedia è tragica e la commedia è comica e come si collegano. Non è forse quello che vogliamo apprendere dalla letteratura, dal momento che saperlo può avviarci alla comprensione pratica della vera felicità?Proprio il trucco che non mi è mai riuscito durante il mio periodo da imbrattacarte alla fine degli anni sessanta, ma in mia difesa dirò che non credevo di dover trattare certi argomenti."
"Una volta ho letto su un manuale di scrittura che in un buon romanzo qualunque cosa può essere seguita da qualunque cosa e che nulla segue necessariamente qualcos’altro. Per me è stata una rivelazione, e un sollievo immenso, perché la vita è proprio questo: un pasticcino invaso dalle formiche. Non pensavo di dover ragionare sulle cause. E sinceramente lo penso ancora oggi."
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