mercoledì 11 aprile 2012
lunedì 9 aprile 2012
Sul concetto di tempo
...ancora oggi non riesco a essere preciso e a dare giudizi definitivi su qualsiasi cosa sia collegabile, anche in minima parte, al concetto di tempo. E' come se tra noi e lui, il tempo, ci fosse una sorta di malinteso, di confusione, come se non tutto fosse a posto. I nostri calendari sono basati sull'arbitrio: i numeri che vi sono scritti non significano niente, non sono garantiti da niente, come soldi falsi. Perché, per esempio, dopo il primo di gennaio deve venire il due e non subito il ventotto? E possono forse i giorni susseguirsi l'uno l'altro, e basta? Non è un'assurdità poetica la successione dei giorni? Ma non c'è nessuna successione, i giorni vengono quando uno di loro si sente di venire, e qualche volta ne arrivano parecchi, tutti insieme. Oppure un giorno non viene per tanto tempo.
[Sasha Sokolov: "La scuola degli sciocchi"]
sabato 7 aprile 2012
Vertigine
Dice
il dizionario: “Vertigine: illusoria sensazione che il corpo o gli
oggetti circostanti ruotino od oscillino”.
Dice
il libro di medicina: “Vertigine è la sensazione che consegue alla
modificazione dei rapporti del nostro schema corporeo con l’ambiente
che ci circonda”.
Sono
definizioni che vi soddisfano? A me per niente.
Vertigine
è di più, è qualcosa di interno, è quello che succede quando si
rompe un equilibrio al quale eravamo abituati ed improvvisamente
scopriamo di essere senza punti di riferimento e ci sentiamo nudi,
indifesi, davanti a qualcosa che non conosciamo.
Faccio
questi pensieri dopo aver faticosamente raggiunto la cima di uno
scoglio a strapiombo sul mare.
Mi sporgo con circospezione, allungo
il viso in avanti, guardo verso il basso e cosa vedo? La profondità,
l’altezza, il vuoto. Avverto chiaramente la reazione di difesa con
la quale il mio corpo reagisce alla situazione: le gambe ben piantate a terra, rigide
ma pronte a ritrarsi al primo segnale di pericolo, le braccia
staccate dal busto ed allargate a cercare il giusto bilanciamento,
nel tentativo di dare stabilità al tronco, e poi una specie di formicolio che corre veloce lungo tutto il corpo, come ad
avvertirmi del rischio incombente, e ancora, i movimenti lenti,
circospetti, gli occhi fissi, ben attenti a non lasciarsi distrarre.
In una parola: ho paura. Una paura giustificata, perché so che
cadere da lì vorrebbe dire farsi male, ma è una paura che ha anche
altre radici.
Parliamoci chiaro: il baratro che si apre sotto di me
mi attrae, è come una sirena che chiama, che mi spinge a contemplare
affascinato la grandezza del vuoto. Forse ho paura di cadere perché
sento dentro una voce che mi spinge a lasciarmi andare, una voce che
mi sussurra quanto sarebbe affascinante esplorare quel vuoto, vederlo
più da vicino…
In
fondo è la stessa cosa che succede quando mi guardo dentro, quando
rifletto su me stesso. Anche in quei momenti ho le vertigini: la
voglia di andare fino in fondo e la paura di scoprire cose di me che
potrebbero spaventarmi.
[Lars W. Vencelowe: "Pensiei, parole, opere ed omissioni"]
mercoledì 4 aprile 2012
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