domenica 22 novembre 2015

Mircea Cărtărescu – Nostalgia


Cinque racconti nei quali troviamo alcune delle tematiche della produzione cartarescuana che saranno poi abbondantemente riprese e sviluppate nella trilogia di Abbacinante: il dualismo sogno/realtà, la solitudine, le ossessioni, il rifugio nella scrittura come strumento di difesa nei confronti del mondo, il viaggio verso l’assoluto e la ricerca di una “porta” che permetta di entrare e uscire a piacimento dal reale.
Il primo racconto, l’uomo della roulette, è una storia borgesiana nella quale la letteratura è utilizzata come “cavallo di Troia” per passare dalla realtà al sogno, la dimensione che l’autore predilige, il luogo dove l’impossibile diventa possibile e i personaggi non muoiono mai.
Nel secondo, il Mendebile, si parla di un ragazzino diverso da tutti gli altri (Mendebilul in rumeno è lo psicolabile, il debole di mente, ma anche l’escluso), un bambino dalla personalità magnetica in grado di conquistare gli altri mostrando loro le potenzialità della parola e della fantasia sull’azione. Il Mendebile è un suscitatore di sogni, una specie di illusionista in grado di mostrare punti di vista diversi da quelli considerati fino a quel momento, una specie di Prometeo che affascina e seduce gli altri fino a quando riesce a cavalcare il potere eversivo della parola, ma destinato a veder concludere la parabola del suo successo quando mostrerà di non essere immune al fascino di emozioni e passioni proprio come tutti.
I gemelli è il racconto di un rapporto a due che non riesce ad evolvere, un tira e molla continuo che attraversa il confine tra fisiologico e patologico trasformandosi in ossessione,. L’amore – dice l’autore – è al tempo stesso qualcosa di naturale e di inspiegabile e le dinamiche che scaturiscono da questa contraddizione sono al centro dell’indagine di Cărtărescu che viviseziona i sentimenti e i comportamenti del protagonista della storia come un pezzo anatomico passato al microscopio. Come proteggersi da una realtà che ci chiama con canto di sirena per farci cadere tra le sue spire? Smettendo di guardare la nostra immagine riflessa nello specchio (ancora Borges): l’unica maniera che abbiamo di sfuggire alle seduzioni del mondo materiale è quella di evitare di guardarlo, per non finire irrimediabilmente risucchiati al suo interno. Se non guardare il mondo è un modo per proteggere il nostro corpo, scrivere è la risposta che Cărtărescu propone per difendere la nostra mente, consapevole però che quella che sceglie di combattere è una lotta impari destinata alla sconfitta: il destino dell’uomo è quello di precipitare nel gorgo del mondo e ogni passo che egli compie per tirarsi fuori dalle sabbie mobili della realtà finisce per farlo scivolare ancora un po’ di più verso il fondo.
REM è una storia che definirei murakamiana con echi kafkiani (il punto di vista del narratore è quello di un insetto), una specie di cammino iniziatico verso il REM, origine e spiegazione di ogni cosa, l’uscita e l’ingresso, l’inizio e la fine. Una storia stranissima, che fa da contenitore e contenuto e che si avvita su se stessa con la forza di un vortice marino che ci attrae trascinandoci al suo interno.
Il tema delle ossessioni ritorna prepotente nell’architetto, l’ultimo racconto della raccolta, nel quale, appunto, un architetto attribuisce al clacson della sua automobile un significato che travalica quello consueto, stabilendo che sia lo strumento che essa utilizza per esprimere se stessa, per comunicare con l’esterno. Di qui una serie di conseguenze immaginifiche fino a un’antropizzazione dell’auto o a un’”oggetivizzazione” dell’uomo, al punto che i due diventano qualcosa di simbiotico, un unicum che pian piano perde in contatto con la realtà assurgendo a qualcosa di superiore, mistico, una specie di buco nero che finisce per inglobare tutto quello che incontra.


sabato 31 ottobre 2015

Mircea Cărtărescu – Abbacinante. L’ala sinistra



Mi ricordo, vale a dire invento.

Cărtărescu vive in un mondo tutto suo, una specie di zona grigia sospesa tra sogno e realtà, un territorio dove - più o meno - siamo stati tutti, prima di tornare alla tranquilla routine della quotidianità. Ecco, la differenza è che Cărtărescu in quel mondo ci vive, eterno viandante di una terra di mezzo in cui esperienza e immaginazione si contaminano fino a confondersi una nell'altra.  
L’esperienza sono i ricordi, la materia prima con la quale l’autore si diverte a giocare, montandoli e smontandoli a suo piacimento. Il protagonista del romanzo diventa così una specie di matrioska: ogni ricordo che contiene dentro di sé è modificato da quello successivo e la loro stratificazione nel tempo aggiunge, se possibile, confusione a confusione. Effetto voluto e cercato da Cărtărescu che non si propone di mettere ordine nella memoria, ma di rimettere disordine nei suoi pensieri.
Mi ricordo, vale a dire invento: ecco il punto nodale ( o uno dei punti nodali) del romanzo e della filosofia Cărtărescuana in genere: non spiegare tutto, non governare il disordine, ma cavalcarlo, descriverlo, raccontando le interazioni tra le parti che lo compongono, dando vita così a una serie di straordinarie passeggiate da talpa nella sequenza realtà-allucinazione-sogno.
Se folle è il fine, folle deve essere anche il mezzo usato per perseguirlo. E così ci troviamo davanti ad un romanzo dai ritmi sincopati che pretende attenzione da parte del lettore. Basta un attimo di distrazione e dalla placida narrazione dei ricordi ci si ritrova nel bel mezzo di un’allucinata guerra tra demoni ed angeli, zombie e viventi, per poi rientrare nell'alveo della normalità con altrettanta rapidità.
Se si decide di intraprendere la lettura di Abbacinante è bene essere disposti a correre, o meglio rincorrere Cărtărescu nei meandri della sua fantasia, pronti a seguirlo anche in descrizioni che spaziano dall'anatomico al filosofico, toccando anche tutto quello che c’è nel mezzo (e nel mezzo ci sono un sacco di cose…). Se si decide di iniziare questo viaggio è bene sapere che il capitano della barchetta nella quale stiamo per salire è un folle, uno che ha deciso di non sciogliere il dualismo soggetto/oggetto e che per questo si comporta sia da osservatore che da osservato, autore del romanzo e insieme personaggio di una storia scritta da non è lui. Siamo, al tempo stesso, parte di un tutto e tutto, assoluto e relativo insieme: ecco un esempio degli avvitamenti di cui Cărtărescu è maestro, con buona pace della linearità e della logica.
E a me piace da matti tanta caparbietà nell'imboccare volutamente strade senza uscita per dimostrare che è l’altezza dell’ostacolo con il quale si sceglie di confrontarsi a darci la dimensione di quello che siamo.
Già, da matti, perché Abbacinante è un progetto folle per lettori che apprezzino la follia, intesa come curiosità, voglia di superare i limiti del reale attraverso lo strumento della fantasia, un tentativo di costruire un mondo che sta all'incrocio di sogno, memoria ed emozioni, scavando nel passato con le armi del ricordo e dell’immaginazione per provare a ricostruire l’identità e la natura dell’uomo.

Concludendo, Abbacinante è un libro in cui, tra echi rilkiani (il punto danzante intorno al quale gira il mondo, la bellezza atroce), Cărtărescu sviluppa una teoria del mondo che pur essendo scritta in prosa è da leggere e interpretare secondo la chiave della poesia.

domenica 25 ottobre 2015

Marilynne Robinson - Gilead



Una storia d’altri tempi, raccontata con un ritmo d’altri tempi. Una prosa “pulita”, fatta di parole che si posano leggere sulla pagina, frasi brevi che cuciono insieme un libro di memorie.
Una lunga lettera al figlio, il pretesto per ripercorrere un vita fatta anche delle vite degli altri. Ricordi, importanti ma anche insignificanti, uniti insieme a costituire il bagaglio della voce narrante, il predicatore John Ames. I ricordi di bambino, di quando l’emozione arrivava prima della comprensione, si mescolano alle esperienze più recenti, che ci restituiscono il ritratto di un uomo vecchio e malato animato dalla sensibilità di un ragazzino, un uomo capace ancora di guardare le cose e la vita con stupore e ammirazione.
L’uomo è attore e Dio il pubblico, dice John Ames. Un pubblico che però non è lì per giudicare ma per valutare, con un comportamento più “estetico” che censorio, togliendo di colpo quella cappa di pesantezza, giudizio, colpa e pena che appesantisce la religione, privilegiando l’aspetto gioioso della fede.
John Ames non ha paura a dire che gli mancherà il mondo terreno, è un uomo di Chiesa, ma con i piedi ben piantati nella terra, nel senso che non è immune da passioni come la gelosia e i rimpianti e non nasconde i dubbi nell'interpretazione dei libri della fede.


Gilead è un bel libro, che parla della vita di uomini senza celarne le umanissime miserie mettendo però l'accento sui momenti di tenerezza, sulla compassione e sulla pietà, Gilead è il ritratto di un uomo che ha vissuto, un uomo buono che ha visto la bellezza della vita e ha saputo riconoscerla.

sabato 17 ottobre 2015

Fëdor Dostoevskij – Il giocatore



Il Dosto va in trasferta...

Romanzo breve nel quale Dostoevskij abbandona la consueta ambientazione pietroburghese per concedere alla sua "scatola dei soldatini" una gita oltre confine, in Germania, per la precisione a Roulettenbourg (nomen omen). Diciamo gita perché sembrerebbe che il fatto di trovarsi fuori dalla Russia, liberi la variegata corte dei miracoli che abita le pagine del libro da qualsiasi vincolo di comportamento retto e fornisca ai personaggi una specie di lasciapassare per mettere in scena uno stravagante teatrino giocato intorno a un misto di amoralità e vacuità che finisce con il travolgere tutto e soprattutto tutti quelli che incontra sulla sua strada.

Come al solito Dostoevskij dimostra di saper cogliere perfettamente alcuni aspetti peculiari dell'anima russa (ben prima che Erofeev tentasse un'operazione simile), a cui qui aggiunge qualche osservazione interessante anche su francesi e inglesi. Ma è Aleksej Ivànovic la figura centrale del racconto, quella sulla quale si accentra l'attenzione dello scrittore, un personaggio più sfuggente di quel che sembri, una personalità non lineare, nelle pieghe della quale l'autore si diverte a scavare. Alesa non sembrerebbe uno sciocco, non è superficiale come la maggior parte degli altri personaggi e apparentemente vede le cose in una giusta prospettiva, eppure vive succube di Polina che ama di un amore malato, incapace di liberarsi dal giogo di un sentimento non ricambiato ma anzi maltrattato e deriso.

Si può essere le persone più razionali del mondo, ma quando la passione bussa alla nostra porta i rischi di far crollare il castello di carte sono reali, come dimostra la vecchia madre del generale che brucia alla roulette quello che ha accumulato in tutta la vita, come dimostra lo stesso Alesa, consapevole di star buttando via la propria esistenza eppure incapace di cambiare la propria situazione nonostante gli se ne presenti l'occasione più di una volta, anzi ben deciso a percorrere fino in fondo una strada che sa perfettamente che lo porterà all'autodistruzione.

A me sembra che questa sia la vera cifra del romanzo: la descrizione di una consapevole discesa agli inferi lungo la strada dell'ignavia, percorso che Dostoevskij segue passo passo addentrandosi nei meandri della mente umana con la curiosità dello scienziato interessato a studiarne dinamiche e comportamenti.