Sono contento di essere, di essere proprio come si
vuole che sia, e per tutto il tempo che potrò restarne l'inquilino.”
Semplicemente
uno dei capolavori del Novecento.
La storia di Moses
Herzog, professore universitario che colto
dal secondo divorzio proprio mentre si trova nel mezzo del cammin di nostra
vita, vede andare in frantumi gli equilibri sui quali credeva fosse basata la
sua esistenza e si trova a riflettere su cosa è successo e perché. Herzog è simile
a un naufrago che si risveglia su un’isola sperduta e vaga spaesato sulla
spiaggia, alla ricerca di oggetti, frammenti e ricordi che possano aiutarlo a ricostruire
quello che è successo e a pianificare un futuro che appare quanto mai incerto. Noi
siamo quel naufrago, noi siamo Herzog, e il fatto che dalla pubblicazione di
questo libro siano trascorsi cinquant’anni non sembra aver diradato le nebbie
nelle quali ci dibattiamo, ma sembra anzi aver ingarbugliato ancor di più la
matassa, conferendo – se possibile – più forza e attualità all’opera di Bellow.
Molto
interessante (dostoevskijano, quasi) è l’approfondimento psicologico della
figura del protagonista, che l’autore tratteggia non mancando di sottolinearne anche
le contraddizioni:
“Che tipo era? Be', per dirla con una definizione
moderna, era un narcisista; un masochista; e anacronistico. Il suo era il
quadro clinico del depressivo - non grave.”
Herzog
si definisce un invidioso, un uomo non eccessivamente competitivo, generoso e
un po’ immaturo, ambizioso ma cosciente di avere poco senso pratico (e, con
buona pace di quanto afferma Bellow, per niente anacronistico). Il nostro eroe (o
anti-eroe) è un soldato che va alla guerra consapevole che l’armamentario di cui
dispone e le istruzioni che ha ricevuto sono del tutto inadeguati, eppure non
può sottrarsi al combattimento.
L’obiettivo
che Herzog/Bellow/l’intellettuale moderno si pone è decisamente alto:
“dare una nuova visione della condizione dell'uomo
moderno, dimostrare come la vita possa essere vissuta rinnovando continuamente
il sistema di rapporti universale; abbattere l'ultimo degli errori dei
romantici sull'unicità dell'Io; correggere la vecchia ideologia faustiana
dell'Occidente e indagare sul significato sociale del Nulla.”
Per
esplicitarlo l’autore sviluppa un “romanzo di idee”: il rischio dietro l’angolo
è quello del patchwork, dell’inserimento cioè nella narrazione di una serie di riflessioni
sugli argomenti più disparati che rischiano di compromettere la coesione dell’opera.
La struttura epistolare è l’espediente escogitato da Bellow per superare brillantemente
il problema.
Cosa
rappresentano le lettere che il protagonista scrive e poi non spedisce a
personaggi di ogni genere ed epoca a proposito di filosofia, psicologia,
matrimonio, politica, etica, costume… a proposito della vita? Sicuramente un
modo di affermare delle tesi, di esporre un punto di vista. Perché non vengono
spedite? Probabilmente perché sono cose che Herzog ha bisogno di dire a se
stesso: è lui il destinatario di queste missive, è lui quello che deve
convincersi di quanto afferma. Le lettere di Herzog rappresentano un bisogno di
fare ordine, di chiarirsi almeno in parte le idee, e nel momento in cui le
scrive acquistano verità.
È
anche grazie alle lettere che Herzog riuscirà faticosamente a costruirsi una specie di equilibrio, un ordine parziale, personale
e probabilmente anche provvisorio, ma
pur sempre un ordine, che consiste in una sostanziale constatazione e
accettazione dell’ambiguità del mondo, una stabilità forse apparente ma che gli
permetterà di guardare alle cose con maggiore indulgenza:
“In tutti i modi, posso pretendere di avere una gran
scelta? Mi guardo e vedo torace, cosce, piedi - una testa. Questa strana
organizzazione, io lo so che morirà. E dentro - qualche cosa, qualche cosa,
felicità... «Tu mi muovi.» Che scelta ti lascia? Nessuna. Qualcosa produce
l'intensità, un sentimento sacro, così come gli aranci producono l'arancione,
l'erba il verde, gli uccelli calore. Certi cuori sgorgano più amore, altri,
pare, di meno. Significa qualche cosa? Ci sono quelli che dicono che questo
prodotto dei cuori è conoscenza. «Je sens mon coeur et je connais les hommes.»
Ma la sua mente si distaccò ora anche dal suo francese. Non lo potrei dire, con
sicurezza. Il mio viso troppo cieco, la mia mente troppo limitata, i miei
istinti troppo ristretti. Ma questa intensità, non significa niente? È una
gioia idiota che fa esclamare questo animale, l'animale più singolare di tutti,
che gli fa esclamare qualche cosa? E lui crede questa reazione un segno, una
prova, dell'eternità? E ce l'ha in petto? Ma non ho argomenti da contribuire a
questo proposito. «Tu mi muovi.» «Ma che cosa vuoi, Herzog?» «Ma è proprio
questo il punto - un bel niente. Sono contento di essere, di essere proprio
come si vuole che sia, e per tutto il tempo che potrò restarne l'inquilino.”