Énard è considerato uno dei nomi
più interessanti della narrativa contemporanea e con Bussola ha vinto il premio Goncourt nel 2015. Autore da leggere
quindi, anche se di non facilissimo impatto.
In effetti ho impiegato oltre un
centinaio di pagine per riuscire ad entrare in empatia con la sua scrittura, ma
devo dire che nel mio caso la perseveranza è stata ripagata.
Non è certo l’intreccio a creare
problemi, la trama di questo libro è quanto di più sottile si possa immaginare:
Énard racconta le vicende di un amore che non decolla, quello di Franz,
studioso austriaco di musica classica, per Sarah, un’orientalista francese, tutto
qui. In realtà la trama è poco più di un pretesto per raccontare un’altra
storia, quella dei rapporti tra oriente ed occidente negli ultimi duecento
anni. Da Istambul a Theran, da Vienna a Damasco, passando anche per Palmira,
Tubinga, Parigi, Bandar Abbas. Da Listz a Szymanowski, da Henri Rabaud a Wagner,
a Schumann a Beethoven e Bizet. Ma anche da Kafka a Balzac, da Annemarie
Schwarzenbach a Félicien David, da Marga D’Andurain a Edward Said, senza
dimenticare Benn e Trakl, Alois Musil, Charles Mardus e Lucie Delarue-Mardus,
Proust, Henry Levet, Rimbaud, Pessoa, Thomas Mann, German Nouveau, Nietsche,
Goethe, Freud… per limitarci agli occidentali, perché mettersi a citare anche
gli autori arabi sarebbe troppo lunga. Un bel po’ di luoghi, un bel po’ di
artisti. Troppi? Probabilmente sì, eppure tanto sfoggio di erudizione non è
sterile, perché se sulle prime spaventa, col procedere della storia si rivela
interessante e mai fine a se stesso, rappresentando il tentativo dell’autore di
far dialogare due mondi, di trovare una lingua comune, un terreno di incontro
fra culture diverse, le cui diversità però risultano sfumate da mille contaminazioni
e influenze reciproche, due mondi che finiscono per essere permeati da un
“troppo” che ne ha eroso l’identità, quel vuoto che è ricerca, indagine, spazio
da riempire.
Ma Bussola non è solo un libro su come Oriente e Occidente siano
definizioni difficili da scindere e ridurre ad archetipi, sfrondandole dalle
interpretazioni che ne sono state fatte, ma è anche un romanzo “aperto”, nel
senso che non si limita a seguire una trama uniforme ma che apre la riflessione
in direzioni diverse: il sentimento amoroso come viatico per “schiudere le
difese del sé”, i collegamenti tra le cose, la malinconia per i sogni giovanili
e soprattutto il ricordo, la memoria intesa come l’unico argine per resistere
alla piena del tempo che cancella tutto.