sabato 2 novembre 2019

Michail Lermontov – Un eroe del nostro tempo e altre prose



Un eroe del nostro tempo è forse il primo romanzo psicologico russo, costituito da cinque parti distinte che fotografano altrettanti momenti della vita del protagonista, ognuno dei quali è raccontato da una voce diversa e senza seguire una cronologia regolare.
Pečorin, il protagonista dell'opera, è una delle grandi figure della letteratura russa, un antieroe byroniano fratello di Onegin e predecessore di Oblomov che per certi aspetti rappresenta il paradigma di un'intera generazione, quella post-decabrista che ha visto tramontare l'idea della ribellione contro lo zar.
La disillusione è il grande tema di questo libro, la disillusione e come essa cambia in peggio le persone, il loro modo di pensare e poi di agire. Un eroe del nostro tempo è un'opera importante, una di quelle in grado di far sentire la loro influenza anche a distanza di tempo, se è vero che partendo dal realismo romantico ha saputo puntare la sua luce fin sulle soglie dell'esistenzialismo.

sabato 26 ottobre 2019

Isaak Babel' – L'armata a cavallo



Notizie dal fronte

Episodi della guerra sovietico-polacca del 1919-21, raccontati da un cronista d'eccezione, il ventiseienne Isaak Babel' aggregato all'armata a cavallo cosacca.
Storie crude, che non coinvolgono personaggi di primo piano e non parlano dell'andamento dei combattimenti ma che sono focalizzate su episodi minori, piccoli drammi privati, su vittime e carnefici senza nome o i cui nomi non hanno alcuna importanza per la Storia.
La voce di Babel' sembra risentire dell'influsso di correnti letterarie diverse, perché se il tratto stilisticamente dominante di questi racconti è il realismo, caratterizzato da una scrittura votata all'esposizione nuda dei fatti per cui i racconti dell'Armata a cavallo ci appaiono come resoconti di stampo quasi giornalistico/autobiografico con il tentativo di caratterizzare i personaggi anche in base al loro lessico, non mancano però momenti in cui questo realismo si scontra con la ricchezza del mondo interiore dell'autore e allora il tono sembra diventare quasi lirico, non lontano da un 'ornamentalismo' che ricorda il Pil'njak de L'anno nudo (senza trascurare certe atmosfere di stampo simbolista che non possono non far pensare a Belyj).
A questi aspetti contraddittori presenti sul piano formale corrisponde un gioco di contrasti che Babel' evidenza anche nei contenuti dei racconti, alternando ironia e violenza, crudeltà e tenerezza, riferendosi alla Rivoluzione in toni volutamente ambigui non arrivando mai a condannarla apertamente senza nemmeno esaltarla, in modo che forse proprio l'ironia risulta essere lo strumento utilizzato da Babel' per minare le fondamenta della costruzione bolscevica.


domenica 20 ottobre 2019

Nikos Kazantzakis – L'ultima tentazione di Cristo



Kazantzakis è stato uno dei più importanti intellettuali greci del Novecento e L'ultima tentazione uno dei suoi libri più conosciuti e probabilmente più fraintesi, soprattutto dai vertici ecclesiastici che per anni ne decretarono la messa al bando.
Una riflessione (magari da un punto di vista non ortodosso, sbilanciata su un versante sospeso tra monomorfismo e gnosticismo) sulla duplice natura, umana e divina, del Cristo, la storia del lungo processo interiore che porta Gesù prima a sospettare, temere, rifiutare l'idea di essere il figlio di Dio, e poi ad accettare un destino che non ha scelto sforzandosi di essere all'altezza del ruolo.
L'ultima tentazione è la narrazione  della vita e della passione di Cristo purgate dalle sovrastrutture teologiche accumulatesi nei secoli, un racconto dal punto di vista del protagonista, la storia romanzata (oggi forse la chiameremmo "faction") di un uomo tra gli uomini e come tale soggetto alla collera, alla paura, alla gelosia ed a tutte le passioni che contraddistinguono la nostra specie.
L'oggettiva difficoltà nel rendere le contraddizioni che caratterizzano la figura del Cristo  (a tratti sembra una specie di Don Chisciotte che vaga indeciso su quale direzione prendere), mi porta a dire che probabilmente altri sono i personaggi che  Kazantzakis tratteggia meglio nel libro: gli Apostoli ad esempio (dipinti come una schiera di piccoli personaggi che seguono il Messia un po' per convinzione e tanto per convenienza) e soprattutto Giuda, il discepolo prediletto, quello che per primo intuisce l'identità di Gesù e che pure fatica ad accettarne il ruolo, perché quello che attende lui è un capo militare che possa liberare il popolo dal giogo romano, non un Profeta che si carichi sulle spalle i peccati del mondo. Un Giuda vittima, come Cristo, di un destino più grande di lui, destinato ad un ruolo da traditore che deve necessariamente interpretare perché il piano divino si realizzi.

sabato 12 ottobre 2019

Boris Pil'njak – Mogano



Pil'njak è uno scrittore difficilmente collocabile nel panorama letterario russo del primo Novecento come testimoniano anche i racconti e i povesti (romanzi brevi) di questa raccolta, eterogenei sia per forma che per contenuti, nei quali si notano aspetti che richiamano ancora ad un certo 'ornamentalismo' dell'Anno nudo ed a un simbolismo che discendono direttamente dalla prosa di Belyj, mescolati ad un realismo che rappresenterà per Pil'njak un approdo (politicamente) obbligato.
Al centro della narrazione non sono più le grandi capitali, Mosca e Pietroburgo, ma la periferia della Russia. Nella querelle tra occidentalisti e slavofili Pil'njak si schiera dalla parte di quelli che guardano ad Oriente, alle campagne, ad un oltre-Volga nel quale è più facile cercare la vera anima russa ed evidenziare le contraddizioni esplose con la rivoluzione bolscevica. I racconti di Mogano ben sottolineano la confusione e d i contrasti di un'epoca che l'autore cerca di rendere anche dal punto di vista stilistico, attraverso l'assenza di un protagonista 'forte'; flashback, digressioni liriche, narrazione di episodi che avvengono contemporaneamente in luoghi diversi… il racconto diventa con Pil'njak un collage di fatti, documenti, ricordi e pensieri frammentari e sconnessi (figli della confusione del tempo) che vanno a costituire una trama che procede più per 'accumulazioni' che in maniera lineare.
Sullo sfondo di una Natura che si oppone all'uomo, metafora di quelle forze istintive che si oppongono alla razionalità, Pil'njak riflette sull'incomprensibilità della vita e sullo smarrimento della gente provocato da una Rivoluzione dalla quale i contadini sembrano essere stati colpiti più che salvati, una Rivoluzione che viene vista anche dagli occhi dei nobili e dei lavoratori ma che rimane qualcosa di difficilmente comprensibile, della quale la gente riesce ad apprezzare solo le conseguenze immediate, vale a dire disordine, violenza ed anarchia.

sabato 5 ottobre 2019

William Gaddis – L'agonia dell'agape



Impressionante. Un saggio in forma di romanzo che ci dice come Gaddis avesse capito tutto già molto tempo prima di noi, un libro profetico al punto da vaticinare in qualche misura anche il crollo dei mercati del 2007.
L'agonia dell'agape è il racconto di un personaggio beckettiano animato da un furore bernhardiano che sapendo di avere ancora poco tempo a disposizione cerca di mettere ordine nelle sue carte e nei suoi pensieri finendo però risucchiato all'interno di quello stesso caos che cerca di combattere. Il ritmo della prosa è incalzante, la narrazione frammentaria, fatta di divagazioni frutto di idee complesse che ben lungi dal chiarire i concetti che cercano di esplorare aprono strade che conducono in nuove direzioni: un flusso di coscienza che risponde all'esigenza dell'autore di comunicare al lettore il suo bisogno di difendere l'arte e di scacciare i mercanti dal tempio.
Qui si parla del "collasso di tutto", di come cioè le nuove tecnologie hanno improvvisamente cambiato le carte in tavola ridefinendo, tra l'altro, la figura dell'artista e quella dell'opera d'arte. Viviamo – dice Gaddis – in un mondo che sembra accontentarsi di bisogni primari e che, come il bambino, cerca il piacere ed evita il dolore. La quantità del piacere, questo è il punto, è diventata il fine dell'uomo, non la qualità; l'intrattenimento è il nuovo centro dei bisogni della società e il denaro ne è diventato la divinità incontrastata.
Gaddis è un gigante e al tempo stesso un Don Chisciotte lanciato contro i mulini a vento, un eroe impegnato in una battaglia impari dall'esito già segnato e che pure deve essere combattuta. Nel suo j'accuse non teme di apparire snob o elitario e lancia i suoi strali con precisione chirurgica: si vive in superficie e nel momento, si fruisce delle cose senza il bisogno di doverle comprendere, lo scopo è appagare i bisogni immediati, le pulsioni più elementari, soddisfare il pubblico ed assecondarne gli umori.
Portare tutto e a tutti è il mantra dell'epoca in cui viviamo e non implica nessun intento pedagogico ma segue piuttosto la logica del guadagno. Tutto e a tutti, grazie alle moderne tecnologie e all'automazione:  non serve più applicarsi nell'atto creativo e lavorare per sviluppare il proprio talento perché non solo ogni oggetto ma anche ogni atto artistico è riproducibile e quindi già riprodotto, serializzato e quindi tradito nello spirito (interessante, in questo senso, è il riferimento di Gaddis al dopplergänger di Goljadkin nel Sosia dostoevskijano). L'artista classico non esiste più, sostituito dall'esecutore/imitatore con le copie che moltiplicano all'infinito l'originale finendo per dare immanenza a ciò che per definizione deve essere transitorio, autentico, non riproducibile.
La bussola è impazzita, si è perso l'amore (agape) per la creazione.

"…il crollo dell’autenticità il crollo della religione il crollo dei valori, quella che Huizinga definì una delle fasi più importanti nella storia della civiltà, e Walter Benjamin lo riprende nell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica da qualche parte in questa pila, l’opera d’arte autentica si fonda su un rituale dice lui, e aspetti signor Benjamin, ci devo arrivare, qui a metà del Settecento romantico il godimento estetico nel culto dell’arte era il privilegio di pochi. Stavo dicendo, signor Huizinga, che l’opera d’arte autentica aveva il suo fondamento in un rituale, e la riproducibilità di massa l’ha liberata da questa esistenza parassitaria. Ah, proprio così signor Benjamin proprio così, alla fine del secolo la religione stava perdendo colpi e l’arte arrivò a sostituirla, dice questo? Certamente signor Huizinga, e aggiungerei che questa enorme quantità di riproduzioni tecniche delle opere d’arte poteva essere manipolata, ha modificato il modo in cui le masse consideravano l’arte e le ha manipolate a sua volta. Inavvertitamente signor Benjamin, lei potrebbe dire che adesso l’arte è diventata dominio pubblico, per i più o meno istruiti Monna Lisa e l'Ultima cena sono diventate arte da calendari da appendere sopra l’acquaio della cucina. Certamente signor Huizinga, Paul Valéry aveva capito che ci saremmo arrivati, immagini visive e uditive portate nelle case da lontano come acqua gas ed elettricità e infine, che Dio ci aiuti tutti, la televisione. Affermativo signor Benjamin, con il meccanizzazione, la pubblicità le opere d’arte sono realizzate direttamente per la vendita, ecco è questa l’America. È sempre stata questa, signor Huizinga. Lo è sempre stata, signor Benjamin. Tutto diventa un oggetto commerciale il mercato stabilisce il prezzo. E il prezzo diventa il criterio di ogni cosa. Certamente signor Huizinga! L’autenticità viene azzerata quando l’unicità di ogni realtà viene superata dalla ricezione della sua riproduzione, pertanto l’arte è predisposta alla sua riproducibilità. Date loro la possibilità di scegliere, signor Benjamin, e le masse sceglieranno sempre il falso".