sabato 23 novembre 2019

António Lobo Antunes – La morte di Carlos Gardel



"Le persone come il mio amico sono immortali, non finiscono, dureranno fintanto che ci sia qualcuno che le apprezzi sulla faccia della terra."

Terzo ed ultimo romanzo del "ciclo di Lisbona", La morte di Carlos Gardel rappresenta l'ennesima prova di bravura di un grandissimo artigiano della parola scritta.
Libro di sentimenti trattenuti, parole non dette, molti ricordi e pochi dialoghi. Una scrittura densa, avvolgente, frasi che cadono sulla pagina e poi si allargano a macchia d'olio innescando un'apnea di pensieri e di immagini che si intersecano saltando avanti e indietro sulla linea del tempo. Lobo Antunes padroneggia perfettamente una macchina narrativa che ha prima inventato e poi affinato nei particolari: si parte dalle piccole cose, dettagli a cui affida il compito di suscitare idee che rimandano a momenti recenti o lontani nel tempo che a loro volta ne richiamano altri. E poi ancora: la pluralità di voci, episodi raccontati da più punti di vista a delineare meglio la trama, anche se non a chiarirla definitivamente.
Una scrittura che procede per 'accumulazioni', un fiume che nella sua corsa verso il mare trascina con sé tutto quello che incontra lungo il suo passaggio. Il ritmo della narrazione è incalzante, ipnotico, con le voci narranti che si alternano e poi si sovrappongono, chiarendo oppure confondendo il lettore ma sempre spingendolo un po' più dentro la lettura perché lo scopo con Lobo Antunes, il mio scopo, non è quello di comprendere tutta la trama ma respirarne le  parole, viverne le atmosfere.
La morte di Carlo Gardel è un libro di memorie: ricordi di un nonno che non parla con nessuno, perso nei suoi solitari con le carte, di donne e uomini che abbandonano le famiglie, che se ne vanno semplicemente perché non ce la fanno più, ricordi di ex mariti, di tizi con la brillantina e le labbra dipinte, di faggi che tossiscono, di olmi che chiamano e di guinzagli senza cane.
Monete, teiere d'argento, tazze di porcellana e mille altri oggetti comuni, odori, colori e sensazioni che la penna di Lobo Antunes recupera dalla memoria e richiama a vivere sono i veri protagonisti di questo libro perché se la morte di Nino è inevitabile sin dalle prime pagine, la morte del passato invece può essere rimandata grazie al potere della parola. Un inganno, certo, ma forse non è un inganno anche la letteratura che traducendo tradisce la realtà?

sabato 16 novembre 2019

Nikos Kazantzakis – Zorba il greco




Questo Zorba era l’uomo che da tanto tempo cercavo senza trovare; un cuore vivo, una bocca vorace, un’anima grande e spontanea che non ha ancora tagliato il cordone ombelicale con sua madre, la Terra.

Libro importante nel percorso di Kazantzakis; tentativo di comporre gli opposti, Zorba è l'elemento dionisiaco a cui l'autore affida il compito di tenere a freno la sua parte apollinea.
Non starei qui a scomodare la teoria del superuomo: Zorba rappresenta piuttosto l'uomo dell'hinc et nunc, un nichilista forse solo all'apparenza ma in realtà un individuo in grado di provare compassione per il prossimo, un uomo che con il suo comportamento offre a Kazantzakis un punto di vista diverso che privilegia l'istinto e la quotidianità rispetto ad un idealismo che per l'autore stava rischiando di diventare sterile avvitamento su se stesso.
Zorba quindi non come modello di vita tout court ma come quel 'gancio' del quale lo scrittore aveva bisogno in un momento preciso della sua vita, una boa da afferrare al volo per non essere travolto dalla tempesta. Non certamente l'uomo perfetto, un maestro di vita da seguire alla lettera, piuttosto un'opportunità da cogliere per sforzarsi di mettere a fuoco le cose in maniera più completa, ampliando un punto di vista che lo stava allontanandosi troppo dalla terra, dalla concretezza, dalla realtà ("E così il mondo è caduto in mano agli scribacchini; - dice Zorba – quelli che i misteri li vivono, non hanno tempo; e quelli che hanno tempo non vivono i misteri").
Compito di Zorba è indicare a Kazantzakis una strada, un percorso tanto affascinante quanto improbo da seguire perché sottende un cambiamento di paradigma difficile da realizzare: "non sei libero”, disse; “la corda a cui sei legato è un po’ più lunga di quella degli altri uomini; questo è tutto. Tu, padrone, hai una fune lunga, vai e vieni, credi di essere libero; ma la fune non la tagli. E se non tagli la fune…”. “Un giorno la taglierò!”, dissi con ostinazione, perché le parole di Zorba toccarono una ferita aperta dentro di me e mi fecero male. “Difficile, padrone, molto difficile. Per questo ci vuole follia; follia, hai capito? Rischiare tutto! Ma tu hai cervello, e questo sarà la tua rovina. Il cervello è un droghiere, tiene i registri, annota le uscite, le entrate, i profitti, le perdite. È un bravo amministratore, non rischia mai tutto, tiene sempre qualcosa di riserva. Non taglia la fune, no! La stringe in mano, il furfante; se gli sfugge, è perduto, perduto, poveretto! Ma se non tagli la fune, mi dici che gusto ha la vita? Di camomilla, di camomillina; non di rum, che scaravolta il mondo!”.
[…] quello che diceva Zorba era giusto… Quando ero bambino, ero pieno di entusiasmi, di desideri primordiali, me ne stavo sempre da solo e sospiravo perché il mondo mi andava stretto. Poi, pian piano, col tempo, ero diventato sempre più saggio; ponevo dei limiti, separavo il possibile dall’impossibile, l’umano dal divino, mi tenevo stretto l’aquilone perché non mi sfuggisse.

domenica 10 novembre 2019

Nikolaj Gogol' – Taras Bul'ba e gli altri racconti di Mirgorod



Poema epico di carattere storico-romantico alla quale Gogol' mise mano più volte nel corso degli anni, Taras Bul'ba è un'opera che per certi tratti si potrebbe definire un romanzo omerico ambientato sulle rive del Dniepr, in quella regione (la Rus' di Kiev) che costituirà la base su cui prenderà forma la Russia moderna.
Una terra abitata da cosacchi ortodossi, polacchi, tartari, musulmani ed ebrei, ognuno con costumi e leggi diverse, una polveriera etnica sempre pronta ad incendiarsi, un territorio nel quale la pace era una chimera senza diritto di cittadinanza, sostituita al massimo da qualche tregua estemporanea. L'attenzione di Gogol' è rivolta alla descrizione dello stile di vita delle popolazioni e dei singoli personaggi: patria, identità e onore come capisaldi di una mentalità tribale e istintiva dominata dall'odio per il diverso e dal tentativo delle varie popolazioni di sopraffarsi a vicenda. E poi la folla e le sue dinamiche: il bisogno di un capo, la facilità del gruppo ad infiammarsi e l'attrazione per la violenza, l'agire del gruppo che annulla la responsabilità individuale.
Interessante notare come nell'Ucraina di oggi, per analoghi conflitti, l'uomo non sembra trovare soluzioni diverse, come se la violenza sia una parte così potente della nostra natura che cultura, etica, religione ed intelligenza non riescono a fronteggiare adeguatamente.

sabato 2 novembre 2019

Michail Lermontov – Un eroe del nostro tempo e altre prose



Un eroe del nostro tempo è forse il primo romanzo psicologico russo, costituito da cinque parti distinte che fotografano altrettanti momenti della vita del protagonista, ognuno dei quali è raccontato da una voce diversa e senza seguire una cronologia regolare.
Pečorin, il protagonista dell'opera, è una delle grandi figure della letteratura russa, un antieroe byroniano fratello di Onegin e predecessore di Oblomov che per certi aspetti rappresenta il paradigma di un'intera generazione, quella post-decabrista che ha visto tramontare l'idea della ribellione contro lo zar.
La disillusione è il grande tema di questo libro, la disillusione e come essa cambia in peggio le persone, il loro modo di pensare e poi di agire. Un eroe del nostro tempo è un'opera importante, una di quelle in grado di far sentire la loro influenza anche a distanza di tempo, se è vero che partendo dal realismo romantico ha saputo puntare la sua luce fin sulle soglie dell'esistenzialismo.

sabato 26 ottobre 2019

Isaak Babel' – L'armata a cavallo



Notizie dal fronte

Episodi della guerra sovietico-polacca del 1919-21, raccontati da un cronista d'eccezione, il ventiseienne Isaak Babel' aggregato all'armata a cavallo cosacca.
Storie crude, che non coinvolgono personaggi di primo piano e non parlano dell'andamento dei combattimenti ma che sono focalizzate su episodi minori, piccoli drammi privati, su vittime e carnefici senza nome o i cui nomi non hanno alcuna importanza per la Storia.
La voce di Babel' sembra risentire dell'influsso di correnti letterarie diverse, perché se il tratto stilisticamente dominante di questi racconti è il realismo, caratterizzato da una scrittura votata all'esposizione nuda dei fatti per cui i racconti dell'Armata a cavallo ci appaiono come resoconti di stampo quasi giornalistico/autobiografico con il tentativo di caratterizzare i personaggi anche in base al loro lessico, non mancano però momenti in cui questo realismo si scontra con la ricchezza del mondo interiore dell'autore e allora il tono sembra diventare quasi lirico, non lontano da un 'ornamentalismo' che ricorda il Pil'njak de L'anno nudo (senza trascurare certe atmosfere di stampo simbolista che non possono non far pensare a Belyj).
A questi aspetti contraddittori presenti sul piano formale corrisponde un gioco di contrasti che Babel' evidenza anche nei contenuti dei racconti, alternando ironia e violenza, crudeltà e tenerezza, riferendosi alla Rivoluzione in toni volutamente ambigui non arrivando mai a condannarla apertamente senza nemmeno esaltarla, in modo che forse proprio l'ironia risulta essere lo strumento utilizzato da Babel' per minare le fondamenta della costruzione bolscevica.