sabato 25 aprile 2020

Una casa nel buio – José Luís Peixoto



L'amore è la solitudine, l'amore è tutto ciò che esiste.

Romanzo cardine di uno degli autori più importanti della "generazione del '90" portoghese, Una casa nel buio è un'opera sorprendente che pone Peixoto in diretta continuità con Saramago e Lobo Antunes, giganti dei quali mostra di aver compreso e rielaborato in maniera personale la lezione.
Una storia sospesa in uno spazio senza tempo abitato da personaggi improbabili: un ragazzo che scrive, la madre che vive incurante di quello che succede intorno a lei, la schiava Miriam, il principe di Calicatri che conosce ogni cosa e il signor violinista. A questi, dopo la comparsa sulla scena di misteriosi e crudeli invasioni, si aggiungeranno il visconte di Dedodida e nessuno, un uomo mutilato di occhi, orecchie, naso e lingua.
Realismo magico, forse, ma temo che ogni classificazione possa risultare riduttiva per un romanzo così ricco di metafore, allegorie e simboli che possono portare il lettore in mille direzioni diverse. Penso al siliquastro, l'albero di Giuda sotto al quale il ragazzo sognava da piccolo, la stessa pianta alla quale si impiccò il bisnonno del protagonista e sotto la quale nacque il nonno. Penso al pozzo e alla statua che sono nel giardino della casa dove è ambientata la scena, alla moltitudine di gatti che ne riempiono le stanze, alla montagna che si staglia sullo sfondo…
Una casa nel buio è un'opera originale anche dal punto di vista stilistico, caratterizzata da una scrittura definita "scarna e barocca", con frasi brevi ma ricche di enfatizzazioni e soprattutto reiterazioni che danno alla prosa un ritmo quasi ipnotico, nel tentativo di costruire una lingua personale come se quella classica non avesse tutti gli strumenti necessari per permettere all'autore di trasferire al lettore quello che ha dentro (come spesso succede quando gli scrittori provano a far veicolare alla parola sentimenti ed emozioni).
Sentimenti, emozioni ed anche illusioni. Come l'amore del ragazzo per una donna che vive dentro di lui, o quello della madre per la musica e quello del principe di Calicatri per la conoscenza. Sentimenti spazzati via dall'ingresso sulla scena di una violenza la cui forza risulta amplificata da una narrazione che in questo caso privilegia il registro cronachistico, limitandosi ad una descrizione essenziale priva della minima partecipazione emotiva da parte dei personaggi, quasi a sottolinearne l'inevitabilità. La successiva epidemia di peste che scoppierà nel paese servirà poi a ribadire che tutto ciò che desideriamo è impossibile, recidendo anche i germogli di umanità che timidamente stavano sbocciando tra i figli degli invasori.
Come Questa terra ora crudele anche Una casa nel buio è un'opera delicata e crudele, ma anche poetica, visionaria, surreale ed oscura, un cannocchiale e insieme un microscopio che Peixoto punta sul mondo e sui suoi abitanti. È una riflessione sulla scrittura, sull'uomo e sulla società ma anche sul tempo che trasforma ogni cosa e soprattutto (questa mi sembra la vera cifra della poetica dello scrittore di Galveias) sull'amore e sulla felicità e contemporaneamente sulla solitudine e sul dolore nel tentativo, tutto letterario, di riuscire a conciliare gli opposti.

sabato 18 aprile 2020

Questa terra ora crudele – José Luís Peixoto



Nel 2000 un allora sconosciuto José Luís Peixoto pubblicava a sue spese questo libriccino, Morreste-me (Mi sei morto), un'elegia in memoria del padre appena scomparso.
L'impossibilità di accettare una perdita così grande, di vedere la vita continuare a scorrere intorno a sé e insieme l'orgoglio di volersi dimostrare all'altezza delle aspettative del padre. Il richiamo alla terra (crudele), il contrasto di luce/buio, vita/morte, movimento/staticità.
Un libro delicato e violento, una scrittura fatta di frasi brevi e ricca di reiterazioni, che porta la prosa al limite con la poesia. La parola per Peixoto riveste (anche) un ruolo consolatorio, tocca cose e momenti della vita familiare dello scrittore e così facendo le richiama in vita, in maniera simile a quanto accade nei romanzi di Lobo Antunes.
Scrittore da seguire con attenzione.

domenica 12 aprile 2020

Alla speranza - John Keats


Alla Speranza

Quando solo siedo al mio focolare,
E odiosi pensieri mi vestono di tristezza,
Quand'anche i sogni vengon a meno all'occhio della mente,
E non ci son fiori per la nuda brughiera della vita,
Tu, dolce Speranza, profumami di magia:
Sì, portami via sulle tue ali d'argento.

Se, colto dalla notte dove i rami intrecciati
Escludono il raggio lucente della luna,
il tetro Sconforto impaurisse i miei pensieri,
E, accigliato, fuggisse la dolce Allegria,
Ti prego, un raggio affaccia di luce per lo sconnesso
Tetto di paglia, scaccia lo Sconforto Maledetto.

E se la Delusione, madre dell'Angoscia,
La figlia spingesse a predare il mio cuore sbadato,
Quando, come una nube, sull'aria assisa
S'appresta a colpire la vittima ammaliata,
Tu cacciala via, dolce Speranza, col tuo viso di luce
Spaventala, come la mattina quando terrorizza la notte.

Quando il destino racconta, di quelli che più amo,
Storie di dolore al mio cuore spaventato,
Tu, Speranza, occhi di luce, la mia fantasia
Morbosa rallegra, dammi dolce conforto:
Illuminami di cielo, danza
Sul mio capo con le tue ali d'argento.

E se di genitori crudeli o d'amante spietata
Dovesse mai squarciarmi il petto un amore infelice,
Non lasciare che io possa credere sprecata
La mia poesia, singhiozzata nell'aria notturna.
Tu, dolce Speranza, profumami di magia:
Sì, portami via sulle tue ali d'argento.

E quando guardo la teoria degli anni futuri,
Fa ch'io non veda l'onore del mio paese svanire:
Conservi l'anima la nostra terra, e la libertà,
L'orgoglio: non voglio, Speranza, fantasmi.
Dai tuoi occhi di luce riversa insolita radianza
E poi coprimi, con le tue ali d'argento.

Stupenda Libertà, grandezza in veste dimessa!
Ch'io non scorga mai quest'alta eredità
Dalla vile porpora della legge oppressa,
La testa chinata, pronta a morire:
Affacciata dal cielo, splendente,
Te, Speranza, con ali d'argento, voglio vedere apparire.

Come quando con regalità lucente una stella
Indora la cima chiara d'una nuvola scura
Accendendo il mezzo volto velato del cielo,
Così, se pensieri di tenebra il mio spirito presago
Avvolgono in un sudario, tu, dolce Speranza,
Con ali d'argento sul mio capo, spargimi d'azzurro.

sabato 4 aprile 2020

Quando ormai nulla più importa – Juan Carlos Onetti



Quando ormai nulla più importa è l'ultimo romanzo di Onetti e quello che chiude la saga di Santa María (che qui diventa, curiosamente, Santamaría). Un mondo che collassa su se stesso, un'implosione destinata a lasciare sul campo solo polvere e ricordi.
Protagonista è Carr, un uomo, forse scrittore, che vive o meglio sopravvive a Monte (Montevideo?) Ridotto alla fame e abbandonato dalla moglie decide di rispondere all'annuncio di una misteriosa agenzia che si occupa di traffici poco puliti e con un falso titolo di ingegnere si ritrova a Santamaría per sovraintendere al completamento dei lavori di una diga. Impiego di copertura perché il suo vero ruolo sarà poi quello di vigilare sul fiorente mercato di contrabbando della città.
L'incontro con il dottor Díaz Gray, personaggio chiave della mitologia onettiana, è il momento in cui il lettore capisce esattamente dove si trova: siamo nel sogno di Brausen, il personaggio inventato da Onetti e che a sua volta ha inventato  Santa María ("Signor Brausen/" – è l'inno intonato dalla folla salmodiante di una processione – "per amor tuo/ dacci la pioggia/ e liberaci dal sole."), siamo in un gorgo che trascina sempre più a fondo le figure che lo abitano. Doña Eufrasia ed Elvirita, il turco Abu e il poliziotto Autoridá, le puttane del Chamamé e Angélica Inés, moglie ninfomane e drogata del dottor Díaz Gray… siamo a Santamaría, in un "deserto monotono interrotto a volte da presenze che non arrivano a essere tali, prive com'erano di qualunque significato".
Già, il significato. Più entriamo nelle pagine del romanzo e più il significato delle azioni degli uomini, il senso delle loro vite, inizia a sgretolarsi. Anche l'andamento del diario che Carr sta tenendo lo testimonia: le date si fanno sempre più lontane fino a che si perde la sequenza cronologica, come a dire che anche il tempo oltre a tutto il resto ha perso importanza.
È uno sfaldamento che travolge tutto e tutti, cancellandone a poco a poco anche l'identità: "E all'improvviso cominciò." – scrive Carr un 11 luglio – "Come sempre, atroce e indimenticabile. Al principio, pensavo il mio nome completo e lo ripetevo senza parlare, migliaia di volte, finché cessava di essere il mio nome, non significava più nulla. Ma siccome io continuavo a essere io, dovevo fatalmente domandarmi chi fossi". E ancora, un 22 febbraio: "Cominciai a chiedermi chi sono, e perché io e non un'altra persona; me ne stetti a ripetere mentalmente un numero spropositato di volte il mio vero nome, fino a che questo non perse ogni senso e non venne rimpiazzato da un grande spazio bianco nel quale mi rifugiai senza violenza, ed era l'essere e il non essere."
Polvere e ricordi, si diceva all'inizio, questo alla fine del libro è ciò che resta della saga di Santa María. I personaggi che vissero un tempo sono ora fantasmi spazzati dal vento che vagano tra le macerie sotto forma di ricordi ai quali è inutile cercare di dare un senso.

Con questo libro ho terminato la lettura delle opere di Onetti e quello che resta da fare dopo aver letto tutto Onetti è solo ricominciare da capo.

sabato 28 marzo 2020

Sudeste – Haroldo Conti


L'uomo e il fiume

Sudeste è la storia del Boga, tagliatore di giunchi sul delta del Paranà che alla morte del vecchio che lavorava con lui decide di abbandonare la capanna nella quale vive ed inizia a vagabondare sul grande fiume, mosso dall'"ansia che spinge l'uomo verso l'orizzonte".
Un viaggio senza uno scopo preciso, per sopravvivere ma soprattutto perché il legame con quel corso d'acqua è una catena che il Boga non sa e non vuole sciogliere. Un viaggio che non prevede nessun punto di arrivo perché alla foce del Paranà "le distanze si dilatano e il traguardo si allontana insieme a te".
Come un Suttree ante litteram, l'uomo scivola lentamente dentro al suo destino. Quello del Boga è un modo consapevole di andare alla deriva, sentendosi parte del fiume e indifferente a tutto il resto. "Il fiume è splendido e l'uomo se ne sente misteriosamente attratto. Questo è tutto ciò che può dire". Un girovagare da un posto all'altro con la prua diretta verso nord, lottando con il vento di Sudeste che sferza il corpo ed i pensieri. Vivere nella pancia del fiume come unica aspirazione, sentirsi accolto da quella Natura, farne parte lasciando che le cose vadano come devono andare.
In Sudeste ci sono Boga, il fiume e il vento. E poi ci sono gli altri: figure di contorno, abbozzi di un'umanità che Conti tratteggia con contorni volutamente sfumati, persone senza passato e dal futuro quantomeno incerto. Il Bastos, Il Colorado Chico, il Lungo… ma soprattutto un omino "che sembra il Cabecita" con il suo cane Capi e un paio di brutti ceffi, uno senza nome e l'altro chiamato "Chino" ma conosciuto anche come "la Bionda", due delinquenti che con le loro malefatte cambieranno il corso della vita del Boga che si lascerà cadere dentro alla situazione senza far nulla per tirarsene fuori.
"Era come uno spettatore. Vedeva trafficare se stesso e gli altri come da una distanza incredibile e affaticante. L'aveva trascinato il fiume. L'estate. Un giorno o l'altro sarebbe finito tutto. Con un piccolo sforzo avrebbe potuto tirarsene fuori. Ma non era capace di fare uno sforzo, piccolo o grande. In qualche modo le cose si erano ingarbugliate e lui era rimasto lì."

Sudeste è un libro lento come il corso del fiume che descrive, un libro di silenzi, pensieri, descrizioni e pochi dialoghi. Un grande romanzo sul legame tra l'uomo e la natura, legame che Conti è ben attento a dipingere in maniera tutt'altro che idilliaca. Il Boga 'appartiene' alla natura, ed in nome di questa appartenenza accetta fatiche e sofferenze in cambio di quei pochi istanti di felicità che nascono dal sentirsi in armonia con il fiume ("A partire da quel momento, sulla spiaggia deserta, cucinando i pesci, poteva considerarsi un vagabondo. Non fu proprio questo ciò che pensò, ma improvvisamente si sentì invadere da una strana serenità, una placidità mai provata, e qualcosa di simile a una sorridente allegria. Finalmente si trovava nella situazione che aveva sempre desiderato."

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