sabato 6 giugno 2020

Tutti i racconti – Clarice Lispector



"La coerenza non la voglio più. Coerenza vuol dire mutilazione."

Il mio scrittore preferito è brasiliano ma è nato in Ucraina.
Il mio scrittore preferito è una scrittrice.
Il mio scrittore preferito è Clarice Lispector.

Scrive sempre la stessa storia, una storia di solitudine, un'introspezione letteraria sempre nuova e sempre uguale,  una discesa nelle profondità dell'Io. È un percorso tra zolfo e incenso, un furioso attorcigliarsi alla ricerca della natura dell'uomo e delle cose. Un viaggio affascinante eppure impossibile, perché destinato ad arrestarsi sulla soglia della conoscenza.
Clarice Lispector è una scrittrice cerebrale. Il suo ambito di ricerca è limitato, limitatissimo: parte dall'oggetto e si ferma al pensiero dell'oggetto. Alla parola spetterà poi il compito di tradurre quel pensiero ma Lispector si ferma allo stadio precedente, a quello che avviene dentro alla persona, a quel calderone nel quale si agitano idee, sentimenti, esperienze contrastanti e che poi, solo poi, si esprimeranno in qualche modo. È in quel calderone che Lispector ha scelto di gettarsi, novello Ulisse che decide di imbarcarsi in un'impresa irrealizzabile ma alla quale non sa sottrarsi.
E così, anche questi racconti non fanno altro che inserirsi nella scia delle altre opere della grande scrittrice brasiliana. Non tutti, ovviamente, sono di pari valore, spesso globalmente rimangono al disotto del livello eccelso dei romanzi, anche perché il limite imposto dalla forma racconto impedisce loro quell'approfondimento esasperato che è il marchio di fabbrica di Clarice Lispector. Nonostante ciò, immergersi nel mare della sua prosa rimane per me un'esperienza unica, che ogni volta mi confonde e mi inebria perché mi stimola ad arrampicarmi sugli stessi specchi, a seguirla su un terreno che sembra crollare ad ogni passo.
Parliamo, di nuovo, di un viaggio, di una discesa degli abissi dell' anima:
"Adesso so tutto su coloro che cercano di sentire per sapere che sono vivi. – scrive in Ossessione – Intrapresi anch'io questo viaggio pericoloso, così povero per la nostra terribile ansia. E quasi sempre deludente. Imparai a far vibrare la mia anima e so che, mentre ciò accade, nel più profondo del proprio essere si può restare vigili e freddi, appena a osservare lo spettacolo che abbiamo creato per noi stessi."
Per aggiungere più avanti:
"avevano risvegliato in me la sensazione che nel mio corpo e nel mio spirito palpitasse una vita più profonda e più intensa di quella che vivevo.".
Si scende sempre più giù, alla ricerca della natura più vera, alla ricerca di un assoluto inconoscibile eppure irrinunciabile.
"Lui mi aveva permesso di intravedere il sublime e aveva imposto che anch'io mi bruciassi nel fuoco sacro".
E siamo solo a pagina 30 di oltre 500…

Il cammino che intraprendono i personaggi di questi racconti è un percorso iniziatico irto di ostacoli. Devono saper schivare le passioni e contemporaneamente non fare troppo affidamento sulla razionalità, recuperare la parte più istintuale del loro essere e continuare a cercare senza mai arrendersi, spogliandosi delle false convinzioni e delle verità transitorie di cui si sono vestiti durante il percorso, consapevoli che la strada deve essere percorsa da soli e che anche le parole non sono in grado di aiutarli in questa impresa.
Un cammino impervio, lungo il quale, prima o poi, tutti i personaggi finiscono per arrestarsi. Perché è difficile accettare la solitudine, perché i sentimenti, l'amore, l'odio, la sofferenza, il possesso…li portano fuori strada, perché credono di essere arrivati quando invece sono ancora lontani dalla meta, perché si accontentano di un succedaneo di verità e non vogliono o non sanno andare più in profondità.
Un cammino che è un lento apprendistato nel quale la conquista della consapevolezza è solo una tappa, per quanto importante, lungo il percorso di avvicinamento all'essenza delle cose, un viaggio nel quale non sempre realtà fa rima con verità e la verità e sempre un po' più in là di dove la cerchiamo, nascosta nel cuore delle cose, un cuore al quale ci si può avvicinare solo spogliandosi degli strumenti tradizionali che usiamo per arrivare alla conoscenza. "Era solo bravo a 'comprendere'. – dice Angela Pralini ne La partenza del treno – Quella sua intelligenza che la affogava". E ancora: "Ad Angela Pralini venivano pensieri talmente profondi che non c'erano parole per esprimerli. Non era vero che si poteva formulare solo un pensiero alla volta: a lei ne venivano molti che si incrociavano l'uno con l'altro ed erano vari. Per non parlare dell' 'inconscio' che esplode dentro di me, che tu lo voglia o meno." E prosegue: "La coerenza non la voglio più. Coerenza vuol dire mutilazione. Voglio il disordine. Riesco a intuire solo attraverso una veemente incoerenza. Per meditare mi sono prima distolta da me stessa, e allora percepisco il vuoto. È nel vuoto che passa il tempo."

sabato 30 maggio 2020

47 poesie facili e una difficile – Velimir Chlebnikov



Considero la pubblicazione di questa raccolta da parte di Quodlibet e Nori un'opera meritoria ma insufficiente. Meritoria perché ha tolto un po' di polvere al nome di Chlebnikov prendendo le sue poesie dal fondo della pila e riportandole alla posizione che meritano, insufficiente perché chi come me non ha una preparazione specifica in quest'ambito rischia di doversi accontentare di cogliere brandelli di bellezza tra le righe, rischiando di perdere la maggior parte del significato.
Quello che manca sono le note (essenziali per una poetica così complicata), un'introduzione alle opere dello scrittore ed un impianto critico che guidi il lettore. Troppo poco, a mio avviso, il commento finale di Nori (più autoreferenziale che altro) per fare da guida a chi decida di avventurarsi tra i testi di un poeta non semplice ed a tratti francamente criptico. Avanguardia, lingua "transmentale" (zaum), immagini frammentate e ricostituite in diversa maniera… difficile, almeno per me, venire sempre a capo del significato o anche lasciarsi illuminare da tanta luce in maniera più consapevole.

Link
https://iris.uniroma1.it/retrieve/handle/11573/918307/329049/Tesi%20Moretti.pdf

sabato 16 maggio 2020

Autobiografia di Irene – Silvina Ocampo



«Nella veglia, abitiamo in un mondo comune, ma nel sogno ognuno di noi penetra in un mondo proprio.»

Cinque racconti borgesiani di algida eleganza nei quali Silvina Ocampo introduce l'elemento fantastico all'interno della narrazione classica e ne studia le conseguenze. I temi trattati sono soprattutto quelli della memoria e del sogno e paradigmatico in questo senso è già il primo dei racconti della serie (Epitaffio romano) nel quale risuonano echi eraclitei (nessun uomo entra due volte nello stesso mare) per affermare da un lato che le cose si ripetono sempre e dall'altro che non sono mai esattamente uguali a se stesse ma si trasformano, e che la fantasia è l'unica arma a disposizione dell'uomo per evadere dalla prigione della vita. La fantasia e la letteratura, aggiungiamo noi, perché così sembra suggerire l'espediente stilistico dei tre finali al quale ricorre la scrittrice.
Mescolando sogno e realtà la Ocampo crea una zona grigia nella quale le cose possono essere vere o solo immaginate, così come i ricordi possono essere attendibili oppure falsi. È un territorio misterioso e carico di possibilità; ci ritroviamo di nuovo su un terreno letterario nel quale il vero ha la stessa dignità del verosimile, un campo nel quale possono fiorire mondi infiniti.
Inutile cercare certezze, nei racconti della Ocampo tutto è provvisorio: "perché, ammesso che questi racconti fossero sogni, Armando fingeva di essere un altro personaggio? Fingeva o davvero sognava di essere un altro, e si vedeva dal di fuori?" (L'impostore). La confusione è il pane dell'immaginazione, la fantasia non ammette vincoli, neppure quelli della parola scritta che tradisce il pensiero legandolo ad un'unica realtà ed impedendogli quel cambiamento di cui si nutre: "disdegno quei grossolani strumenti che fissano, che deformano il pensiero: quei nemici della metamorfosi e della collaborazione. Chi oserà stampare le mie parole le distruggerà. […] La memoria è infinita, ma più infinita e più capricciosa ancora, come i sentieri di un dedalo, è l'invenzione che la modifica." (Frammenti del libro invisibile)

sabato 9 maggio 2020

La morte di Artemio Cruz – Carlos Fuentes



Il racconto delle ultime ore di vita di un ricco e controverso possidente, la sua ascesa sociale in parallelo alla perdita dei valori morali sullo sfondo delle vicende del Messico dall'epoca della Rivoluzione agli anni '50.
Una trama tutto sommato semplice per una narrazione originale, che svecchia d'un colpo il romanzo latino-americano raccontando per la prima volta la storia con strumenti nuovi. Fuentes utilizza una pluralità di punti di vista e di piani temporali, usandoli però non come espedienti fini a se stessi ma rendendoli funzionali alla descrizione di una personalità estremamente complessa come quella del protagonista, un carattere che cambia nel corso del tempo ed in base al punto di vista dell'osservatore.
Tutto è relativo, sembra voler dire l'autore, anche idee e convinzioni mutano a seconda del momento storico e della situazione in cui si trova a vivere il personaggio. Ed Artemio Cruz con la sua vita incarna alla perfezione questa parabola degli ideali: dalle ambizioni giovanili al cinismo della vecchiaia, passando attraverso tradimenti, corruzione e violenza, una traiettoria che sembra disegnata non solo sulla sua figura ma anche su quella di un'intera nazione.
Cruz ha tradito i suoi sogni esattamente come il Messico ha tradito la Rivoluzione. I grandi valori sono stati sacrificati sull'altare del dio denaro e delle meschinità dell'animo umano e quando il protagonista del romanzo si trova a tracciare un bilancio della sua vita quello che stringe in mano è un pugno di mosche e l'unica cosa alla quale può aggrapparsi sono i ricordi, l'amore vero che ha avuto, che ha dato e poi perso.
Cruz è un uomo solo, che nel letto ricorda per ritardare la morte e che si appresta a lasciare dietro di sé solo macerie:
"lascerai in eredità le morti inutili, i nomi morti, i nomi di quanti caddero morti affinché il tuo nome vivesse; i nomi degli uomini spogliati di tutto affinché il tuo nome fosse simbolo di possesso; i nomi degli uomini dimenticati affinché il tuo nome non venisse mai dimenticato: lascerai in eredità questo paese; lascerai in eredità il tuo giornale, le gomitate e l’adulazione, la coscienza addormentata dai falsi discorsi di uomini mediocri; lascerai in eredità le ipoteche, lascerai in eredità una classe decaduta, un potere senza grandezza, una stoltezza consacrata, un’ambizione nana, un impegno da pagliaccio, una retorica marcia, una vigliaccheria istituzionale, un egoismo volgare; lascerai in eredità i loro dirigenti ladri, i sindacati venduti, i nuovi latifondi, gli investimenti americani, gli operai incarcerati, gli accaparratori e la grande stampa, i braccianti, la polizia cittadina e quella segreta, i capitali all’estero, gli speculatori impomatati, i deputati servili, i ministri adulatori, le lottizzazioni eleganti, le commemorazioni e gli anniversari, le pulci e le tortillas verminose, gli indios analfabeti, i lavoratori licenziati, le montagne spogliate, gli uomini grassi armati di sci d’acqua e di azioni, gli uomini flaccidi e unghiuti: si tengano il loro Messico: si tengano la tua eredità; lascerai in eredità i visi, dolci, estranei, senza domani perché fanno tutto oggi, lo definiscono "oggi", sono il presente e sono nel presente: dicono "domani" perché il domani non importa loro: tu sarai il futuro senza esserlo, ti consumerai oggi pensando al domani: loro saranno domani perché vivono solo oggi: il tuo popolo la tua morte: animale che prevedi la tua stessa morte, la canti, la chiami, la balli, la dipingi, la ricordi prima di morirla, la tua morte: la tua terra".

Artemio Cruz è un uomo che ha consacrato la sua vita a dare di sé l'immagine di una persona tutta d'un pezzo, dedita unicamente al desiderio e al possesso, fedele alla legge del tutto o nulla, eppure è un uomo che solo in apparenza si presta ad una lettura semplicistica del tipo bianco o nero perché nasconde una personalità contraddittoria.
La sua è un'anima più complessa, divisa e frammentaria di quanto possa sembrare in apparenza, come conseguenza delle mille traversie che ha dovuto attraversare.
Cruz (anche qui) è lo specchio del Messico: una nazione complessa, divisa e frammentaria in conseguenza delle traversie che ha dovuto attraversare.

" hai mirato lassù, al nord, e da allora sei vissuto con la nostalgia dell’errore geografico che non ti ha permesso di farne parte in tutto e per tutto: ne ammiri l’efficienza, le comodità, l’igiene, il potere, la volontà e ti guardi intorno e ti sembrano intollerabili l’incompetenza, la miseria, la sporcizia, l’abulia, la nudità di questo povero paese che non ha nulla; e ti addolora ancora di più sapere che per quanto ti sforzi non puoi essere come loro: puoi essere solo un calco, qualcosa di approssimativo, perché dopo tutto, di’: la tua visione delle cose, nei tuoi peggiori o migliori momenti, è stata mai così semplicistica come la loro? Mai. Mai hai potuto pensare in bianco o nero, buoni o cattivi, Dio o Diavolo: ammetti che sempre, anche quando pareva il contrario, hai trovato nel nero il germe, il riflesso del suo contrario: perfino la tua crudeltà, quando sei stato crudele, non era soffusa di una certa tenerezza? Sai che ogni estremo contiene il proprio contrario: la crudeltà la tenerezza, la viltà il coraggio, la vita la morte: in qualche modo (quasi inconsciamente, per essere quello che sei, di dove sei e per quello che hai vissuto) sai tutto questo, perciò non potrai mai assomigliare a loro, che non lo sanno. Ti dispiace? Sì, non è comodo, è fastidioso, è molto più comodo dire: qui sta il bene e lì sta il male. Il male. Tu non potrai definirlo mai. Forse perché noi, più indifesi, non vogliamo che si perda quella zona intermedia, ambigua, fra luce e ombra: quella zona dove possiamo trovare il perdono. Dove tu lo potrai trovare. Chi non sarà capace, in un solo momento della sua vita (come te) di incarnare nello stesso tempo il bene e il male, di lasciarsi guidare nello stesso tempo da due fili misteriosi, di colore diverso, che provengono dallo stesso gomitolo, affinché poi il filo bianco vada in su e il nero discenda e, ciò nonostante, tutti e due si ritrovino fra le tue dita? Non vorrai pensare a questo. Detesterai il tuo io perché te lo ricorda. Vorresti essere come loro e ora, da vecchio, quasi ci riesci. Quasi, però. Soltanto quasi. Tu stesso eviterai l’oblio: il tuo coraggio sarà fratello gemello della tua viltà, il tuo odio sarà figlio del tuo amore, tutta la tua vita avrà contenuto e promesso la tua morte: non sarai stato né buono né cattivo, né generoso né egoista, né fedele né traditore. Lascerai che gli altri rivelino le tue qualità e i tuoi difetti; però anche tu, come potrai negare che ognuna delle tue affermazioni negherà se stessa, che ognuna delle tue negazioni affermerà se stessa? Nessuno se ne renderà conto, eccetto te forse."

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domenica 3 maggio 2020

I fantasmi – César Aira



Lo scrittore è un fingitore.

Un caldissimo ultimo dell'anno a Buenos Aires. Un grattacielo in costruzione con appartamenti destinati all'alta borghesia argentina nel quale lavora un gruppo di operai cileni che si apprestano a festeggiare il Capodanno con le loro famiglie. E dei fantasmi, nudi e coperti di calce, che si aggirano per l'edificio invisibili agli argentini ma non ai cileni, che però non danno loro particolare importanza.
La struttura di questo romanzo, il primo del "ciclo urbano" di Aira, non si scosta dal canovaccio che segue solitamente questo scrittore: c'è la vita quotidiana, sulla quale piove improvvisamente un elemento dissonante, un ostacolo che produce uno scontro tra reale e fantastico originando uno scarto improvviso dalla strada maestra. La trama è obbligata così a procedere su una strada nuova, con risvolti tutti da decifrare.

Attenzione a sottovalutare Aira, perché si rischia di perdersi il meglio. Attenzione perché lui è un fingitore (parafrasando Pessoa): fa di tutto per sembrare ordinario e nascondere la parte più interessante. Scrittura semplice, trame surreali, romanzi brevi che pubblica a raffica… il perfetto ritratto dello scrittore pop.
Eppure non è così. Non c'è ironia nei suoi romanzi o perlomeno l'ironia è la patina di cui, a volte, sono rivestiti, una patina che è necessario grattar via per entrare davvero nelle pieghe della storia ed iniziare ad interrogarsi sui simboli e sulle metafore con cui dissemina le trame dei suoi libri.
In questo caso, ad esempio, il cantiere potrebbe essere una metafora della scrittura e il bivio al quale si trova davanti la Patri per partecipare alla festa dei fantasmi potrebbe rappresentare l'equivalente della scelta dolorosa e inconciliabile tra sentire e pensare, tra il mondo della fantasia e quello della realtà.
Attenzione lettore: non sottovalutare César Aira.