sabato 2 gennaio 2021

Tornabuoni Stortignaccolo e Stortignaccolo aureo

Si tratta di un sigaro bitroncoconico presente nei tre tagli classici (intero, ammezzato e aureo), uno short filler lavorato a macchina con la fascia costituita da Kentucky proveniente dall'alta valle del Tevere a cui si aggiunge nel ripieno il tabacco beneventano.
Lo Stortignaccolo è giovane (la stagionatura è di sei mesi), all'aspetto si mostra leggermente irregolare e con nervature superficiali che farebbero pensare a un'indole scontrosa, contraddetta però dall'analisi a crudo che ne svela l'aspetto "docile", rivelando odori non previ di una certa dolcezza. È infatti un giovane privo dei difetti della sua età, che non paga pegno all'inesperienza e non eccede in esuberanza grazie al beneventano che riesce ad ammansire la potenza del valtiberino tenendone a freno l'irruenza. 
Si tratta di un classico tuttogiorno, un sigaro di forza leggera-media che cresce un po' verso la pancia e che è in grado di dare piena soddisfazione. La fumata è regolare, senza problemi di tiraggio e nonostante la scarsa evoluzione mantiene un'identità precisa fatta di armonia tra dolce e amaro, con un sapiente bilanciamento dei caratteri che racconta la terra da cui origina e le sfaccettature dei suoi sapori.

domenica 27 dicembre 2020

giovedì 24 dicembre 2020

Prima neve a Petrozavodsk


Hotel Severnaya 

 

Argine del lago Onega

domenica 20 dicembre 2020

Giardino, cenere – Danilo Kiš



Giardino, cenere è il miglior libro dell'Europa postbellica per I. Brodskij e il secondo volume di una trilogia ideale che comprende Dolori precoci e Clessidra, «tre sguardi – si legge in Homo poeticus – tre approcci alla stessa realtà, al centro della quale si trova Eduard Sam, E.S., lo scomparso, figura centrale di un mondo anch'esso scomparso. Il mondo dell'Europa centrale.»
Un romanzo dal sapore proustiano ma anche schulziano, una narrazione lirica dell'infanzia nella quale realtà e illusione si mescolano nella dimensione letteraria e trovano voce nel racconto del piccolo Andreas Sam che ci parla della sua famiglia e soprattutto del suo strano padre e della sua opera ancora più strana, un "Orario delle comunicazioni tramviarie, navali, ferroviarie e aeree, un libro-mondo in continua trasformazione («Era una Bibbia sacrale, apocrifa, nella quale si rinnovava il miracolo della Genesi, ma nella quale erano corrette tutte le ingiustizie divine e l’impotenza dell’uomo»).
Eduard Sam incarna la figura dell'ebreo errante, un fallito che spinge la famiglia a seguirlo nelle sue peregrinazioni,  un pazzo che vive in un delirio di idee assurde e sogni irrealizzabili, votato a «un'indefinita rivolta contro la società e l'ordine del mondo», un uomo convinto che il suo ruolo sia quello di adempiere al proprio destino in modo da realizzare così il proprio personale riscatto e anche quello di riscattare attraverso il suo sacrificio l'intera umanità.
Kiš ci restituisce alla perfezione il punto di vista del ragazzino, lo stupore e la curiosità dei suoi occhi che guardano e interpretano la realtà e lo fa attraverso un linguaggio dai toni soffusi, ricco di descrizioni, particolari e sensazioni. È una prosa lirica che esprime alla perfezione la malinconia per il trascorrere inesorabile del tempo, per un'epoca – quella dell'infanzia – dalla quale il protagonista sta per uscire ma anche per un mondo che volge al declino.
Giardino, cenere è un libro sulla mitologia infantile e sul mistero del tempo di rara eleganza formale ma anche un'opera ricca di contenuti e riflessioni di indubbio spessore.

«Ci sono uomini» continuò mio padre «che sono nati per fare l’infelicità propria e altrui, vittime di macchinazioni celesti che non possiamo comprendere, cavie della meccanica celeste, ribelli ai quali è assegnata la parte di ribelli, ma che sono nati, per la crudele logica della commedia celeste, con le ali tagliate. Titani senza la forza dei titani, piccoli titanucci gracili che di grande hanno ricevuto solo una dose eccessiva di sensibilità nella quale la loro futile forza si scioglie come in alcol. Essi seguono la loro stella, la loro sensibilità malata, portati da progetti e da propositi titanici, e si infrangono come onde sugli scogli della banalità quotidiana. Ma la cosa più crudele riservata loro è la lucidità, la coscienza dei propri limiti, la dolorosa facoltà di distanziarsi. Io vedo me stesso nella parte impostami dai cieli e dal destino, consapevole di essa ad ogni istante, ma al tempo stesso assolutamente incapace di oppormi ad essa con la forza della logica e della volontà... Per fortuna, come ho detto, questa mia parte volge al termine...»

sabato 12 dicembre 2020

Il cimitero dei pianoforti – José Luis Peixoto


Guardavo i pianoforti morti, mi ricordavo che c'erano pezzi che risuscitavano dentro ad altri pianoforti e credevo che anche la vita potesse essere ricostruita allo stesso modo.

Un libro che prende le mosse dalla tragica vicenda di Francisco Lázaro, morto per collasso durante la maratona olimpica di Stoccolma del 1912, per raccontare la storia di due generazioni di una famiglia portoghese. 
Il cimitero dei pianoforti è il nome della stanza dove sono sistemati gli strumenti non più funzionanti all'interno della bottega di falegnameria nella quale lavorano padre e figlio protagonisti del romanzo e il riferimento ai pianoforti è sottolineato anche da una scrittura "musicale", la consueta prosa poetica di Peixoto che qui è ulteriormente aggraziata, spingendosi ad accarezzare le parole per farle risuonare come note di una sinfonia.
Il Portogallo del quale si racconta è un paese con un piede ancora nell'Ottocento, l'autore descrive i riti delle famiglie patriarcali dell'epoca, con il corollario di tradimenti, violenze domestiche, vizio del bere e difficoltà di comunicare. Le voci dei due protagonisti si alternano nel descrivere la loro storia in prima persona: uno parla dopo essere già morto e l'altro mentre corre la maratona che non riuscirà a portare a termine. Particolarmente difficile risulta seguire la narrazione del maratoneta, che spesso intreccia due o tre pensieri o momenti diversi, costringendo il lettore a tornare indietro per riprendere il filo di un discorso lasciato in sospeso a volte pagine prima. È un artificio stilistico che probabilmente serve per rendere al meglio l'impressione di come i pensieri si accavallino nella mente di un uomo che sta correndo ma che alla lunga potrebbe risultare una forzatura strutturale; peccato veniale che si perdona volentieri a una penna originale come quella di Peixoto, capace di muovere le parole in maniera armoniosa ed evocativa.
Ancora un romanzo nel quale lo scrittore portoghese approfondisce i temi della memoria e del legame vita/morte, ancora un romanzo di suggestioni, raffinato equilibrio e costante ricerca stilistica. 

«Oggi e per sempre. Non c'è differenza tra quello che è veramente accaduto e quello che ho distorto con l'immaginazione, ripetutamente, ripetutamente, nel corso degli anni. Non c'è differenza tra le immagini sbiadite che ricordo e le parole crude, crudeli, che credo di ricordare, ma che sono soltanto riflessi costruiti dalla colpa. Il tempo, come un muro, una torre, una costruzione qualunque, fa sì che non ci sia più distinzione tra verità e menzogna. Il tempo mescola la verità con la menzogna. Quello che è accaduto si mescola con quello che vorrei fosse accaduto e con quello che mi hanno detto sia accaduto. La mia memoria non è mia. La mia memoria sono io distorto dal tempo e mescolato a me stesso: alla mia paura, alla mia colpa, al mio pentimento.»