Un militare, Wilhelm, che torna dalla guerra per assolvere alla promessa fatta a un commilitone caduto al fronte: sposare Berta, la ragazza dalla quale il defunto aspetta un figlio. Il matrimonio, un nuovo figlio e poi il dramma, la pazzia di Berta, il suo ricovero in un ospedale psichiatrico e il matrimonio di Wilhelm con Wilhelmine, amica della ex-moglie. A questo si riduce la trama de Il peso delle cose, ben poco ma più che sufficiente per fare di questo libro uno di quelli che si definiscono romanzi perfetti, di quelli che si estendono non tanto longitudinalmente quanto in profondità.
Non una parola in più o una in meno, personaggi perfettamente definiti attraverso descrizioni precise come chiodi piantati nella pagina. Berta Faust è «sempre con la testa altrove, mai nel presente», «È l'interiorità. L'interiorità mi manca. Sono troppo superficiale, troppo rivolta all'esterno». Wilhelm, "il sorridente", lo chauffeur, il "vieni-qui", «credeva in tutto e in niente, dubitava di tutto e di niente, era un sognatore nato e non sognava. In breve, era un degno rappresentante della sua nazione». Wilhelmine è una donna dinamica, il contrario di Berta, «per tutto aveva la risposta necessaria» e per lei «ogni cosa ha il suo ordine e il suo posto stabilito».
Oltre che da una precisa caratterizzazione dei personaggi, affidata anche a frasi che ripetono continuamente («qualcosa deve succedere», dice spesso Wilhelmine, «ecco, ecco» è il "mantra" bartlebiano di Berta), il romanzo è attraversato da collegamenti più o meno espliciti, come la musica (l'insegnate di violino, il Danubio blu e il nome di fantasia, Donaublau, della cittadina che fa da sfondo all'azione) e da oggetti che rivestono un ruolo fondamentale nell'economia del racconto, come la catenella con la madonnina di latta.
E poi c'è il non detto, che rimane sullo sfondo ma pesante come un macigno: la Seconda Guerra mondiale, ma soprattutto la società austriaca del tempo, con il suo carico di indifferenza e perbenismo.
Sì, Il peso delle cose è a suo modo un romanzo perfetto, anche perché non spiega ma si limita a descrivere, ci accompagna sull'orlo dell'abisso e ci mostra l'orrore, la solitudine e il vuoto senza esprimere giudizi. Vediamo con gli occhi di Berta, la donna che cerca di proteggere se stessa e i figli dal peso delle cose, soffriamo con lei il fardello di una situazione troppo grande e ineluttabile che sappiamo finirà per schiacciarla.
«Il 14 gennaio 1963 Berta Schrei eliminò dalla sua vita il marito, la parola e il suo spaesamento», così inizia l'ultima pagina del libro. Una frase che in realtà è solo il primo colpo di pala nel terreno, il punto nel quale Marianne Fritz inizia a scavare per una ricerca che la porterà a scrivere migliaia di pagine intraducibili, un progetto sperimentale, uno studio "matte e disperatissimo" con il quale si condannerà alla stessa sconfitta di Berta.