sabato 2 dicembre 2023

domenica 29 ottobre 2023

Dizionario del linguaggio dei fiori – António Lobo Antunes



Dizionario del linguaggio dei fiori – António Lobo Antunes
(trad. Vittoria Martinetto)
Einaudi editore 1997 – I ed. 1988

Tornare a Lobo Antunes equivale a volgere la prua verso un porto sicuro, a immergersi ancora una volta nella fitta architettura che lo scrittore portoghese ha affinato nel corso della sua lunga produzione letteraria per ascoltare l'ennesima storia fatta di ricordi. Dipinto, sinfonia… è facile finire per scomodare immagini che caratterizzano altre espressioni artistiche quando si decide di parlare di un libro di questo autore, tanto le sue parole sono capaci di scatenare suggestioni che rompono i confini del romanzo per scivolare fuori dalla pagina arrivando fino a schizzare dentro di noi.
Cicogne e caravelle ci accolgono all'interno di un libro nel quale la cronologia è un termine vuoto, perché il tempo non è quello scandito dal ticchettio dell'orologio ma quello che prende forma all'interno della mente, una nuvola di fumo nella quale presente e passato si mescolano per dare forma ai pensieri. Protagonista assoluto è il ricordo, sfumato di nostalgia e compassione: Lobo Antunes punta la macchina da presa su gesti, persone e oggetti per togliere la polvere del tempo passato e con l'autorevolezza del demiurgo resuscita le ombre dall'oblio soffiandovi sopra nuova vita, per ascoltarle parlare e generare quei legami, pensieri, gesti che muovono la lenta ruota della trama.
Dizionario del linguaggio dei fiori è un altro romanzo polifonico, con la trama ridotta a poco più di un pretesto per raccontare tante storie, un fiume con mille affluenti, una cicogna che apre le ali e vola nel cielo terso di Lisbona mentre sotto scorre il tempo, immobile come il Tago e come i treni "minuscoli molto in basso, in lontananza, che partono da chissà dove per nessuna destinazione che è la loro sorte".

sabato 2 settembre 2023

Libro di memorie – Péter Nádas

 

Libro di memorie – Péter Nádas
(trad. Laura Sgarioto)
Dalai editore 2012 – I ed. 1986


Meccanica delle emozioni.

La memoria, tema da sempre centrale nella narrativa, sta riscuotendo un rinnovato interesse nel panorama degli autori contemporanei, con declinazioni particolarmente originali soprattutto da parte di chi ha vissuto oltre cortina (A. Blandiana e M. Stepanova docent). In Libro di memorie, Péter Nádas lo affronta confezionando un romanzone di stampo novecentesco, caratterizzato da una prosa a metà tra il proustiano e il mitteleuropeo (T. Mann, H. Broch, R. Musil), uno stile lento, ricco di improvvise epifanie, descrizioni minuziose e insistenti, così controcorrente rispetto alla tendenza della narrativa attuale e una trama di non semplice interpretazione con tre parti distinte che si succedono come una sinfonia nella quale i salti temporo-spaziali e le ellissi rappresentano la regola, mettendo alla prova l'attenzione del lettore.
Il protagonista è un giovane scrittore ungherese mai nominato, del quale viene narrata la storia, a partire dalla giovinezza e dai rapporti conflittuali con il padre negli anni '50, fino alla vita bohémienne con un complicato triangolo sentimentale a Berlino vent'anni dopo. In parallelo si sviluppa la storia di Thomas, invenzione del protagonista, autore di un romanzo sulla Germania del primo Novecento e in chiusura del romanzo si aggiunge a scompigliare le carte il racconto di un amico dello scrittore, che inserisce un punto di vista differente contraddicendone in parte la narrazione autobiografica che abbiamo letto fino a quel punto. Abbastanza per gettarci nello sconforto e spingerci a domandarci se lo sforzo di seguire Nádas attraverso settecento e più pagine è valso la pena.
La mia risposta è sì, non solo perché Susan Sontag ha definito questa opera “il più grande romanzo scritto nel nostro tempo e uno dei più grandi libri del secolo”. Nádas è un maestro della meccanica delle emozioni, che esplora con attenzione e profondità, quasi lispectoriano nella ricerca di ciò che si cela dietro all'apparenza e insieme nel non volerlo scoprire per continuare a sognarlo e spingersi sempre oltre.
Il protagonista è una personalità scissa, che vive il disagio esistenziale della sua situazione, un individualista impegnato nell'introspezione in un ambiente, quello dell'omologazione dell'Est Europa, che guarda con sospetto queste tendenze "devianti". Un uomo alla ricerca spasmodica di un equilibrio che prova a costruire sulle sabbie mobili di un rapporto con gli altri che sembra necessitare sempre di un "terzo" attore, di un altro punto di vista che invece di chiarire la situazione non può fare altro che complicarla. Un uomo che guarda dentro se stesso lasciandosi guidare dall'emotività, dalle sensazioni più che dal raziocinio, forze che invece di avvinarlo alla riva lo spingono sempre più verso le acque alte e pericolose delle contraddizioni, spinte centrifughe che cerca di bilanciare senza riuscire a raggiungere quell'armonia alla quale tende. Un'anima che vive la realtà dell'inverosimiglianza e si affanna nella ricerca di una terza via tra pensiero etico ed estetico, finendo schiacciata dal castello delle sue congetture e dal peso della relatività delle cose.

Lettura difficile ma sicuramente sorprendente, importante e stimolante.

lunedì 1 maggio 2023

Le navi – António Lobo Antunes

 


Le navi – António Lobo Antunes
(trad. Vittoria Martinetto)
Einaudi editore 1997 – I ed. 1988

Opera del 1988, Le navi risulta un tassello importante nella bibliografia di Lobo Antunes perché ci permette di tratteggiarne l'evoluzione stilistica. Si tratta di un romanzo nel quale domina il gongorismo ricco di metafore tipico della prima parte della produzione letteraria dello scrittore portoghese, perfetto per descrivere l'atmosfera decadente, di crisi, del periodo post-coloniale. Siamo, per capirci, in una fase che precede di pochi anni la prosa più centrata sulla costruzione della frase che sulla parola, che caratterizza la trilogia di Lisbona (della quale anticipa l'aspetto polifonico), una scrittura che subirà un'ulteriore evoluzione nei romanzi successivi fino a diventare sempre più cerebrale e complessa nel tentativo di avvicinare e riprodurre sulla carta i processi cerebrali del pensiero in opere come Arcipelago dell'insonnia, Sopra i fiumi che vanno, Non è mezzanotte chi vuole.
Pur affrontando le stesse tematiche di In culo al mondo, Le navi riesce a non sentire il peso di quel grande romanzo, concentrandosi su sfumature diverse e permeando le pagine di un'aura di disincanto che spesso si dilata in un sorriso amaro. L'intento dell'autore è infatti quello di fare un seguito de I Luisiadi di Camões ma in chiave caricaturale, con una carnevalizzazione (per citare Bachtin) dei personaggi realizzata dando ai reduci dell'impresa coloniale i nomi di Diogo Cão, Vasco da Gama, Pedro Álvares Cabral, Dom Sebastião… mostri sacri della storia e della cultura lusitana e trasformandoli in personaggi fuori dal tempo, naufraghi nelle loro vite, abitanti di un presente che faticano a riconoscere.
Le navi è uno sberleffo al potere, alle contraddizioni su cui è costruita l'identità nazionale e all'ambizione di quelli partiti alla conquista del mondo sulle Caravelle e poi sulle navi dirette in Angola e ritrovatisi davanti a un fallimento che ha coinvolto i destini di una nazione. Ci parla della sensazione di inevitabilità e di disfacimento che pervade i pensieri di una popolazione che sognava l'impero e la ricchezza e poi si è svegliata straniera in casa propria, superata dal corso degli eventi, cambiata e costretta a sopravvivere in una realtà che non riconosce più.

sabato 8 aprile 2023

Il capolavoro sconosciuto – Honoré de Balzac



Il capolavoro sconosciuto – Honoré de Balzac
(trad. Carlo Montella)
Passigli editore 1990 – I ed. 1831

Ci sono libri la cui importanza trascende la volontà dell'autore; viaggiano attraverso il tempo come un fiume la cui portata aumenta man mano che scorre, fino ad uscire dall'alveo naturale per tracimare nei territori vicini e renderli più feritili. Questo potrebbe essere il caso de Il capolavoro sconosciuto, romanzo breve e dalla trama sottile solo in apparenza, perché in quella settantina scarsa di pagine è racchiusa una storia dalla profondità di un dialogo platonico, un diamante la cui luminosità è ancora in grado di colpire il lettore a quasi duecento anni di distanza.
L'incontro del giovane pittore Nicolas Poussin con il collega Porbus e il vecchio Frenhofer è un pretesto per discutere sullo scopo dell'arte: riprodurre la realtà o superarla nell'aspirazione a raggiungere una dimensione diversa, come si propone l'anziano maestro?
"La missione dell'arte non è copiare la natura, ma esprimerla!" dice Frenhofer a Porbus a proposito di un suo quadro che raffigura la Maria Egiziaca. "noi dobbiamo cogliere lo spirito, l'anima, l'immagine profonda degli oggetti e delle creature.". E ancora: "Una donna, voi la disegnata, ma non la vedete! Non è così che si arriva a violare l'arcano della natura. […] Voi fate alle vostre donne delle belle vesti di carne, dei bei drappeggi di capelli, ma dov'è il sangue che suscita la calma o la passione e che è causa di ogni effetto particolare? […] cosa manca? Un niente, ma quel niente è tutto: avete l'apparenza della vita, ma non esprimete la sua pienezza traboccante, quel qualcosa che forse è proprio l'anima e che fluttua nebulosamente sopra l'involucro."
Frenhofer, dunque, come unico depositario del segreto per accedere alla vera arte, ma il castello crollerà nel momento in cui mostrerà ai due amici il dipinto alla cui realizzazione ha dedicato anni, nel quale ha trasferito tutte le sue capacità e che dovrebbe elevarlo a un livello al quale nessuno è mai giunto. I due amici non vedranno nessuna grandezza in quel dipinto ma solo un'accozzaglia di colori e linee confuse e ciò spingerà il vecchio a riconsiderare la sua opera e il suo lavoro, precipitandolo in una spirale senza ritorno.
Tutto qui, eppure è proprio quando il romanzo finisce che comincia a vivere: difficile dire se Balzac fosse consapevole della portata dei temi che con il suo romanzo metteva in gioco, di certo Il capolavoro sconosciuto è un'opera senza tempo che continuerà a interrogarci con domande per le quali non esistono risposte assolute. L'arte non potrà mai superare la natura perché priva del suo slancio vitale? Frenhofer ha fallito davvero o sono stati Poussin e Porbus a non riconoscere la sua grandezza? Quale rapporto si crea tra l'opera d'arte e il pubblico che ne fruisce? Che collegamento c'è tra la realtà e la sua rappresentazione?