E
per uno che vince ce ne sono molti che perdono. Da una competizione
esce sempre una classifica: il migliore e i peggiori, il vincente e
gli sconfitti. Viviamo in una società che ha posto il successo in
cima alla scala dei valori e la competizione è la strada per
ottenerlo; non ci si può sottrarre ad essa, perché ci viene
riproposta in ogni fase della nostra vita, sociale e privata.
Da
bambini veniamo gratificati con piccoli premi per ogni successo che
otteniamo. Piccoli cavalli da corsa, premiati con lo zuccherino per
ogni vittoria.
Crescendo
è la scuola che si accolla il privilegio di metterci in fila: da una
parte i bravi dall’altra i meno bravi, da un lato quelli convinti
di essere i migliori dall’altro quelli che devono faticare, quelli
che o "non si applicano", o che "non sono portati",
o che "potrebbero fare di più".
E
dopo la scuola è la società che completa l'opera della nostra
educazione: i miti che ci propone, in ogni campo, sono uomini e donne
di successo. E’ il vincente quello che prende tutto, agli altri le
briciole. Così lo sport, dove quello che conta è il risultato. Così
il lavoro, dove quello che conta è far carriera. Così la vita...
così tutto.
Se
proprio devo partecipare alla competizione, preferisco riconoscermi
nel ruolo dello sconfitto, perché perdere vuol dire avere ancora
qualcosa da raggiungere, avere un obiettivo che ci tiene vivi.
[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]
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