sabato 24 settembre 2011

Rifiuto della competizione


Non mi è mai piaciuta la competizione, perché una competizione presuppone un vincitore.
E per uno che vince ce ne sono molti che perdono. Da una competizione esce sempre una classifica: il migliore e i peggiori, il vincente e gli sconfitti. Viviamo in una società che ha posto il successo in cima alla scala dei valori e la competizione è la strada per ottenerlo; non ci si può sottrarre ad essa, perché ci viene riproposta in ogni fase della nostra vita, sociale e privata.
Da bambini veniamo gratificati con piccoli premi per ogni successo che otteniamo. Piccoli cavalli da corsa, premiati con lo zuccherino per ogni vittoria.
Crescendo è la scuola che si accolla il privilegio di metterci in fila: da una parte i bravi dall’altra i meno bravi, da un lato quelli convinti di essere i migliori dall’altro quelli che devono faticare, quelli che o "non si applicano", o che "non sono portati", o che "potrebbero fare di più".
E dopo la scuola è la società che completa l'opera della nostra educazione: i miti che ci propone, in ogni campo, sono uomini e donne di successo. E’ il vincente quello che prende tutto, agli altri le briciole. Così lo sport, dove quello che conta è il risultato. Così il lavoro, dove quello che conta è far carriera. Così la vita... così tutto.
Se proprio devo partecipare alla competizione, preferisco riconoscermi nel ruolo dello sconfitto, perché perdere vuol dire avere ancora qualcosa da raggiungere, avere un obiettivo che ci tiene vivi.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]

Nessun commento: