Un ragazzino cammina a testa bassa seguendo le rotaie del treno in aperta campagna. Un piccolo vagabondo dalla faccia sporca, di quelli che ormai non esistono più, un giovinetto senza famiglia e senza affetti, con un passato che probabilmente non vale la pena di ricordare ed un futuro complicato, di là da venire.
Chissà a cosa pensa, chissà dove sta andando. Sembra che tutto quello che sta intorno a lui non esista; non si cura della strada, non si guarda intorno, semplicemente va avanti, lungo i binari del treno. È come se vivesse in un mondo solo suo e non fosse interessato alla realtà.
Ad
un certo punto il ragazzino sale con i piedi su un binario ed inizia
un gioco da bambini, cercando di mantenere l’equilibrio il più a
lungo possibile. Allarga le mani, oscilla, ogni tanto cade e poi
risale; dopo un po’ inizia a saltellare da un binario all’altro e
va avanti per un lungo tratto, fino a quando il mio sguardo lo perde.
Mi
sento come quel piccolo vagabondo. Anch'io seguo la mia strada più per abitudine che per convinzione, saltando dal binario della realtà a quello
dell’immaginazione senza sapere il perché di quello che sto
facendo, senza sapere dove sto andando.
[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]
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