domenica 29 aprile 2012

II


Una mattina di maggio, poca gente sul molo.
C'è una partenza da celebrare, un pensiero da consegnare.
Un sole pigro saluta le promesse del giorno,
voci di marinai scivolano sulla banchina.
Ogni cosa è in ordine,
tutto sembra chiaro e definito,
ciò che si vede è ciò che è,
non ci sono segni da decifrare.
La mano di un bambino scrive sull'acqua,
le mie mani affidano ad altre mani un pacchetto di parole:
poche sillabe, impossibili da equivocare.

Si levano le ancore, il viaggio sarà breve.
Dal mio porto al tuo, un braccio di mare compreso in uno sguardo,
dal mio porto al tuo, c'è un pensiero da consegnare.
Si gonfiano le vele, 
la nave scivola sull'acqua 
e mentre va tutto cambia
e la nave non è più la stessa nave.

Si va per il Mare della Relazione, che porta fuori dal sé,
che unisce e che divide,
che mescola le carte e diluisce le certezze.
Le parole si confondono, si svuotano e poi si riempiono
e quello che prima era certo ora è solo possibile.

All'arrivo è trascorso poco tempo dalla partenza, eppure è notte fonda.
Una luna sussiegosa risplende 
troppo lontano per accendere il mare nero.
Il pacchetto di parole passa attraverso mani
che lo consegnano nelle tue.
Quando lo apri scopri che contiene un pensiero
che è quel che è,
non quel che avrebbe dovuto essere.

Ma questo tu non lo sai e non lo saprai mai
e neppure io,
che te l'ho inviato.

[Xenia Dubinina: "Dialoghi afasici"]

sabato 28 aprile 2012

I cani romantici

A quel tempo avevo vent'anni
ed ero pazzo.
Avevo perso un paese
ma guadagnato un sogno.
E se avevo quel sogno
il resto non importava.
Né lavorare, né pregare,
né studiare la notte
insieme ai cani romantici.
E il sogno viveva nel vuoto del mio spirito.
Una camera di legno,
in penombra,
in uno dei polmoni del tropico.
E a volte mi guardavo dentro
e visitavo il sogno: statua eternata
in pensieri liquidi,
un verme bianco che si contorce
nell'amore.
Un amore sfrenato.
Un sogno dentro un altro sogno.
E l’incubo mi diceva: crescerai.
Ti lascerai alle spalle le immagini del dolore e del labirinto
e dimenticherai.
Ma crescere a quel tempo sarebbe stato un crimine.
Sono qui, dissi, con i cani romantici
e qui io resterò.

[Roberto Bolaño]

domenica 22 aprile 2012

Ancora sulla strada di Zenna

Perché quelle piante turbate m'inteneriscono? 
Forse perché ridicono che il verde si rinnova 
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia? 
Ma non è questa volta un mio lamento 
e non è primavera, è un'estate, 
l'estate dei miei anni. 
Sotto i miei occhi portata dalla corsa 
la costa va formandosi immutata 
da sempre e non la muta il mio rumore 
né, più fondo, quel repentino vento che la turba 
e alla prossima svolta, forse finirà. 
E io potrò per ciò che muta disperarmi 
portare attorno il capo bruciante di dolore... 
ma l'opaca trafila delle cose 
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo, 
la spola della teleferica nei boschi, 
i minimi atti, i poveri 
strumenti umani avvinti alla catena 
della necessità, la lenza 
buttata a vuoto nei secoli, 
le scarse vite, che all'occhio di chi torna 
e trova che nulla nulla è veramente mutato 
si ripetono identiche, 
quelle agitate braccia che presto ricadranno, 
quelle inutilmente fresche mani 
che si tendono a me e il privilegio 
del moto mi rinfacciano... 
Dunque pietà per le turbate piante 
evocate per poco nella spirale del vento 
che presto da me arretreranno via via 
salutando salutando. 
Ed ecco già mutato il mio rumore 
s'impunta un attimo e poi si sfrena 
fuori da sonni enormi 
e un altro paesaggio gira e passa.


[Vittorio Sereni: "Gli strumenti umani"]

sabato 21 aprile 2012

Parole, parole, parole...


A questo mondo tutto viene fatto a furia di parlare. Senza dubbio, è un po' ridicolo immaginarsi di esercitare Dio sa quale effetto con parole ben piazzate in una vita dove tutto in fondo dipende da un'ultima indicibile sfumatura. Il parlare si basa su un'indecente sopravvalutazione di sé.

[Hugo von Hofmannsthal: “L'uomo difficile”]

domenica 15 aprile 2012

Furlani il clown


HELENE: Le piace così tanto Furlani?
HANS KARL: Per me quell'uomo è un vero svago.
HELENE: Fa trucchi così abili?
HANS KARL: Ma non fa nessun trucco. Lui è lo sciocco Augusto.
HELENE: Quindi un pagliaccio?
HANS KARL: No, sarebbe esagerato! Lui non esagera mai, non carica mai. Recita la sua parte: è quello che vorrebbe capire tutti, aiutare tutti e così porta tutti nella confusione più grande. Fa i lazzi più sciocchi, la galleria si sganascia dalle risate, e tuttavia mantiene un'eleganza, una discrezione, si nota che rispetta se stesso e tutto ciò che è al mondo, butta tutto all'aria, dove passa lui è tutto sottosopra, tuttavia verrebbe da gridare: “Ma ha ragione!”. […] Vede, Helen, tutte queste cose sono difficili: i trucchi degli equilibristi e dei giocolieri e tutto il resto... per tutto questo ci vuole una volontà intensa e un vero ingegno. Credo più ingegno di quanto ce ne voglia nella gran parte delle conversazioni...
HELENE: Ah, questo sicuramente.
HANS KARL: Assolutamente. Ma ciò che fa Furlani sta ancora uno scalino sopra rispetto a ciò che fanno tutti gli altri. Tutti gli altri si lasciano condurre da un fine e non guardano né a destra né a sinistra, anzi trattengono il respiro fino a che non hanno raggiunto il loro fine: in questo, appunto, consiste la loro destrezza. Ma lui sembra che non faccia niente con un fine... anzi dà ascolto al fine degli altri. Vorrebbe fare anche lui tutto quello che fanno gli altri, tanta è la sua buona volontà. E' tanto affascinato da ogni singolo giochetto che una persona qualsiasi gli mostra: se uno tiene in equilibrio un vaso di fiori sul naso, allora anche lui lo tiene in equilibrio, diciamo per gentilezza.
HELENE: Ma lo fa cadere?
HANS KARL: Ma come lo fa cadere, questo è il bello! Lo fa cadere per il puro entusiasmo e per la felicità di saperlo tenere in equilibrio così bene! Egli crede che se lo si fa proprio bene, la cosa dovrebbe andare da sé.
HELENE: (Tra sé) E lui il vaso di fiori normalmente non lo sostiene e cade per terra.
[…]
HANS KARL: Quando si guarda Furlani, i clown più bravi sembrano volgari, è un vero e proprio talento di pura nonchalance... ma ovviamente questa nonchalance richiede il doppio della tensione degli altri.

[Hugo von Hofmannsthal: "L'uomo difficile"]

sabato 14 aprile 2012

Qualcosa fa una crepa in questa pace finta

Scricchiola qualcosa in questo mondo finto. 
La vita scola rapida nei tubi. 
… Come un rivoletto d’acqua, esagerando, 
cade dal balcone 
vanta d’aver fatto lui da testimone 
alla storia della «Creazione»… 
Uno, di passaggio, dà una mano: 
giunto a caso ha letto versi 
dedicati a me, 
pensieri arditi chiusi nelle rime, 
sfiorando appena le parole, 
dunque? ha ragionato audace, con intelligenza sulla vita 
nel subbuglio di profondi inchini familiari. 
Ha tracciato a un vetro di finestra 
il mio destino, 
un guazzo di colori, 
che si lava via con lacrime di sale. 
Ho rimescolato anch'io 
la vita lungo i tubi, affrettandomi 
in un rivoletto d’acqua.


[Nika Turbina: inediti]


da qui: http://leserpent.wordpress.com/category/nika-turbina/

lunedì 9 aprile 2012

Uova di Fabergé


Sul concetto di tempo

...ancora oggi non riesco a essere preciso e a dare giudizi definitivi su qualsiasi cosa sia collegabile, anche in minima parte, al concetto di tempo. E' come se tra noi e lui, il tempo, ci fosse una sorta di malinteso, di confusione, come se non tutto fosse a posto. I nostri calendari sono basati sull'arbitrio: i numeri che vi sono scritti non significano niente, non sono garantiti da niente, come soldi falsi. Perché, per esempio, dopo il primo di gennaio deve venire il due e non subito il ventotto? E possono forse i giorni susseguirsi l'uno l'altro, e basta? Non è un'assurdità poetica la successione dei giorni? Ma non c'è nessuna successione, i giorni vengono quando uno di loro si sente di venire, e qualche volta ne arrivano parecchi, tutti insieme. Oppure un giorno non viene per tanto tempo.

[Sasha Sokolov: "La scuola degli sciocchi"]

sabato 7 aprile 2012

Vertigine


Dice il dizionario: “Vertigine: illusoria sensazione che il corpo o gli oggetti circostanti ruotino od oscillino”.
Dice il libro di medicina: “Vertigine è la sensazione che consegue alla modificazione dei rapporti del nostro schema corporeo con l’ambiente che ci circonda”.
Sono definizioni che vi soddisfano? A me per niente.
Vertigine è di più, è qualcosa di interno, è quello che succede quando si rompe un equilibrio al quale eravamo abituati ed improvvisamente scopriamo di essere senza punti di riferimento e ci sentiamo nudi, indifesi, davanti a qualcosa che non conosciamo.
Faccio questi pensieri dopo aver faticosamente raggiunto la cima di uno scoglio a strapiombo sul mare. 
Mi sporgo con circospezione, allungo il viso in avanti, guardo verso il basso e cosa vedo? La profondità, l’altezza, il vuoto. Avverto chiaramente la reazione di difesa con la quale il mio corpo reagisce alla situazione: le gambe ben piantate a terra, rigide ma pronte a ritrarsi al primo segnale di pericolo, le braccia staccate dal busto ed allargate a cercare il giusto bilanciamento, nel tentativo di dare stabilità al tronco, e poi una specie di formicolio che corre veloce lungo tutto il corpo, come ad avvertirmi del rischio incombente, e ancora, i movimenti lenti, circospetti, gli occhi fissi, ben attenti a non lasciarsi distrarre. In una parola: ho paura. Una paura giustificata, perché so che cadere da lì vorrebbe dire farsi male, ma è una paura che ha anche altre radici.
 Parliamoci chiaro: il baratro che si apre sotto di me mi attrae, è come una sirena che chiama, che mi spinge a contemplare affascinato la grandezza del vuoto. Forse ho paura di cadere perché sento dentro una voce che mi spinge a lasciarmi andare, una voce che mi sussurra quanto sarebbe affascinante esplorare quel vuoto, vederlo più da vicino…
In fondo è la stessa cosa che succede quando mi guardo dentro, quando rifletto su me stesso. Anche in quei momenti ho le vertigini: la voglia di andare fino in fondo e la paura di scoprire cose di me che potrebbero spaventarmi.

[Lars W. Vencelowe: "Pensiei, parole, opere ed omissioni"]

domenica 1 aprile 2012

Giocare con i sogni


Vivere in un sogno, o meglio: vivere di sogni. Sempre, anche nella vita di tutti i giorni. Fissarsi obiettivi lontani, troppo lontani, e perseguirli come se fossero realizzabili. E’ come un gioco.
Ho sempre avuto questa sensazione sin da piccolo: per dedicarmi con successo a qualche impresa, per riuscire bene in quello che faccio, non potevo accettare imposizioni, dovevo essere io a decidere tempi e modi ma soprattutto vivere la cosa come un gioco.
Ed ancora oggi è così. Gioco tutti i giorni. Nella vita reale, creandomi mete irraggiungibili. Nella scrittura, costruendo un mondo parallelo. Alla sera, prima di dormire, quando mi immagino vite che non vivrò mai. Probabilmente c’è una parola per definire tutto questo, si chiama immaturità. Lo so. E me la tengo ben stretta.

[Lars W. Vencelowe: "Pensieri, parole, opere ed omissioni"]