Paradiso e Inferno è un libro di una bellezza struggente.
Ritroviamo la domanda “perché si vive?” che era alla base di Luce d'estate, anche se qui è rappresentata in maniera diversa, vale a dire nella ricerca da parte del Ragazzo (il protagonista del libro) dell'essenza delle cose, qualunque essa sia, essenza che che Bardur, un altro dei dei personaggi, identifica con la poesia, capace di portare “in luoghi dove le parole non arrivano".
Già, le parole. Paradiso e Inferno è un libro di parole, che racconta tante storie, ma soprattutto che racconta - come ogni grande opera che si rispetti - la Vita, che cerca di far rivivere chi non c'è più, di richiamarlo alla memoria per fargli raccontare ancora una volta la sua storia, per vincere la Morte.
Le parole di Jón Kalman Stefánsson sono da gustare una ad una, da lasciar sciogliere in bocca come caramelle. Parole che cadono leggere come fiocchi di neve, sembra che non possano far male, che debbano scivolare via veloci come pioggia e invece rimangono e si compattano in una prosa densa. Ecco, Stefánsson scava nell'anima dei personaggi come un chirurgo gentile, che opera con mano delicata ma ferma, sapendo perfettamente dove andare a parare e cosa toccare.
Le parole, si diceva. Bardur muore per star dietro alle parole, quelle parole che il Ragazzo ascolta e spesso non sa dire. Le parole alle quali l'autore attribuisce il ruolo di “squadre di salvataggio che non rinunciano alla ricerca, il loro scopo è riscattare gli eventi passati e la vita ormai spenta dal buco nero dell'oblio”, parole che però hanno due facce perché sono “reti sufficientemente grandi da catturare il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte non sono niente, sono stracci usati dove il freddo penetra, sono fortezze in disuso che la morte e la sventura varcano con facilità”.
Paradiso e Inferno è un libro sospeso tra buio e luce, il buio della morte, della resa e della rinuncia alla lotta e la luce che invece ci spinge ad andare avanti, perché “da qualche parte, nel profondo delle regioni della mente, si nasconde una luce che tremola e rifiuta di estinguersi, rifiuta di cedere il passo al peso delle tenebre e allo morte che soffoca. Quella luce ci alimenta e ci tortura, ci costringe a continuare invece di sdraiarci per terra come bestie prive di favella e aspettare ciò che, forse, non arriverà mai. La luce brilla, noi andiamo avanti. I movimenti senza dubbio incerti, esitanti, ma il loro fine è ben chiaro – salvare il mondo. Salvare te e noi stessi con queste storie, questi brandelli di versi e di sogni che da tempo sono precipitati nell'oblio. Ci troviamo a bordo di una barca che fa acqua, e con le reti guaste vogliamo pescare le stelle.”
Oltre che scrittore di narrativa Jón Kalman Stefánsson è anche scrittore di poesie e direi che qui la sensibilità del poeta si vede tutta.
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