Se Umiliati e offesi
sia la più grande delle opere minori di Dostoevskij o il meno
rappresentativo tra i suoi capolavori, è questione di lana caprina.
Per sottolinearne tutta l'importanza sarà sufficiente dire che siamo
probabilmente al cospetto del primo romanzo polifonico, nel quale
diversi personaggi si contendono il ruolo di protagonista ed
uno,Vanja, si assume il compito di fare da voce narrante, legando tra
loro le varie storie.
Come di consueto lo scrittore pietroburghese mette sotto la lente del microscopio uomini e donne della società russa per analizzarne caratteri e comportamenti: Nataša, Aleša, Katja, il principe Valokovskij e, su tutti, la splendida Nelly, così simile alla piccola Anna protagonista di Netocka Nezvanova. L'indagine è precisa ed accurata, spingendosi sin nelle profondità dell'anima per raccontare con le armi della letteratura ciò a cui più avanti la psicologia proverà a dare dignità scientifica; uno studio attento, soprattutto una sorprendente capacità nel cogliere le sfumature delle diverse personalità, i passaggi di colore, quegli aspetti a quali sulle prime non facciamo mai caso ma che quando Dostoevskij ce li fa notare ecco che li vediamo anche noi e diciamo che sì, è vero, è proprio così.
Al centro dell'opera è la povera gente, la gente onesta umiliata e offesa da un Destino contro il quale non cessa di battersi, pur sapendo in partenza di essere condannata alla sconfitta. Ricchezza e povertà, bontà d'animo e malvagità assoluta, amore e orgoglio, passioni che bruciano con fiamme altissime portando i personaggi sino al delirio... c'è di tutto qui dentro. Se poi si cerca il pelo nell'uovo e si vuole trovare un difetto a quest'opera è possibile individuarlo nella storia che l'autore ha scelto di raccontare, il classico intreccio intorno al tema del "mal d'amore" del feuilleton ottocentesco che magari alla prova del tempo mostra un po' la corda. Difetto poi per modo di dire, che il grande russo parlava a lettori suoi contemporanei e non a noi, descrivendo un universo per noi lontanissimo.
Come di consueto lo scrittore pietroburghese mette sotto la lente del microscopio uomini e donne della società russa per analizzarne caratteri e comportamenti: Nataša, Aleša, Katja, il principe Valokovskij e, su tutti, la splendida Nelly, così simile alla piccola Anna protagonista di Netocka Nezvanova. L'indagine è precisa ed accurata, spingendosi sin nelle profondità dell'anima per raccontare con le armi della letteratura ciò a cui più avanti la psicologia proverà a dare dignità scientifica; uno studio attento, soprattutto una sorprendente capacità nel cogliere le sfumature delle diverse personalità, i passaggi di colore, quegli aspetti a quali sulle prime non facciamo mai caso ma che quando Dostoevskij ce li fa notare ecco che li vediamo anche noi e diciamo che sì, è vero, è proprio così.
Al centro dell'opera è la povera gente, la gente onesta umiliata e offesa da un Destino contro il quale non cessa di battersi, pur sapendo in partenza di essere condannata alla sconfitta. Ricchezza e povertà, bontà d'animo e malvagità assoluta, amore e orgoglio, passioni che bruciano con fiamme altissime portando i personaggi sino al delirio... c'è di tutto qui dentro. Se poi si cerca il pelo nell'uovo e si vuole trovare un difetto a quest'opera è possibile individuarlo nella storia che l'autore ha scelto di raccontare, il classico intreccio intorno al tema del "mal d'amore" del feuilleton ottocentesco che magari alla prova del tempo mostra un po' la corda. Difetto poi per modo di dire, che il grande russo parlava a lettori suoi contemporanei e non a noi, descrivendo un universo per noi lontanissimo.
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