In
mezzo a fenomeni che costruiscono e decostruiscono il romanzo,
post-moderni e realisti, minimalisti e realvisceralisti,
strutturalisti e stilnovisti... ogni tanto c'è bisogno di una pausa:
ogni tanto c'è bisogno anche dei Tommy Wieringa.
Una
prosa “scoppiettante”, una penna che corre veloce, leggera, senza
orpelli (sembra quasi di trovarsi in un romanzo nordamericano),
Wieringa parla la lingua semplice e diretta degli adolescenti,
secondo la lezione di Salinger declinata in una delle mille
variazioni.
Un
romanzo di formazione che racconta il mondo, la vita vista attraverso
gli occhi di un ragazzino, la carica di energia e di idee di un
adolescente costretto su una sedia a rotelle da uno spaventoso
incidente, fatto che rende più forte, più carico di tensione, il
suo tentativo di spiccare il volo.
Un
romanzo “a colori”, la storia di una scombinata combriccola di
ragazzini raccolti attorno a Joe Speedboat, il protagonista che vive
nel presente e in eterno movimento, sempre alla ricerca di un
altrove, di un'identità, della libertà
“...niente
mi sembrava più impossibile al cospetto di quella grande anima
serena, […] Intendo dire, aveva solo quindici anni, allora, e
davanti a sé un intero mondo di idee potenzialmente dirompenti, da
realizzare con l'imperturbabilità di un riparatore di biciclette.
Non
era tanto un ragazzo fuori dal comune, era una forza che si liberava.
Sentivi il brivido dell'avventura, intorno a lui – c'era energia
che prendeva forma nelle sue mani. […] Non avevo mai conosciuto
nessuno per cui il passaggio dall'idea alla realizzazione fosse così
ovvio, nessuno così poco condizionato dalla paura e dalle
convenzioni. Osava pensare l'impossibile, senza accorgersi del
rifiuto che non mancava di provocare alle sue spalle. Perché a molti
Joe non piaceva, c'erano troppe cose incomprensibili in lui. La
maggior parte elle persone è mediocre, in alcuni casi addirittura
meschina, ma sono tutte molto sensibili alla più alta concentrazione
di energia e di talento che si riscontra in chi è superiore alla
media. Se non possono avere ciò che ti illumina, non puoi averlo
neanche tu. Non hanno nessun talento per l'ammirazione, solo per la
sudditanza e l'invidia. Sono ladri di luce.”
Una
compagnia di giro fatta di figure indimenticabili: Fransje Hermans,
Frans “il braccio”, il ragazzino paraplegico di cui abbiamo già
detto, voce narrante e campione di braccio di ferro, Christof
Maandag, l'ansioso e indeciso rampollo di una ricca famiglia del
posto proprietaria dell'Asfalti Betlemme, Engel Eleved, angelo di
nome e di fatto, PJ Eilander, “la puttana del secolo”, esotica
afrikaaner completamente priva di coscienza. E poi ancora: la taccola
Mercoledì, Regina e India Ratzinger, rispettivamente mamma e sorella
di Joe, e l'egiziano, secondo marito di Regina e poi mille altri
ancora.
Un
caleidoscopio che ruota vorticosamente, un circo di personaggi che
nella cittadina di Lomark da luogo a una serie di strampalate
avventure, dalla costruzione da parte dei ragazzi di un aereo alla
fuga in barca dell'egiziano, dalla carriera di campione di braccio di
ferro di Fran alla Parigi-Dakar in escavatore di Joe. L'aereo, la
barca l'escavatore...simboli, tanti simboli che incarnano la speranza
associata alla volontà, il tentativo adolescenziale di dare realtà
al sogno.
Se
posso evidenziare un paio di pecche nel romanzo, direi che la prima è
che con il progredire della trama Wieringa da l'impressione di
faticare un po' a seguire tutti i protagonisti, per cui sceglie di
concentrare l'attenzione solo sui principali per recuperare gli altri
nel corso della storia, mentre la seconda è relativa al fatto che il
passaggio generazionale dei ragazzi non mi sembra particolarmente
approfondito come forse avrebbe meritato: Joe, soprattutto, è un
personaggio che non “evolve”, probabilmente è una scelta voluta
(“come avrebbe potuto diventare qualcosa, lui che era già
qualcosa: era Joe, un prodotto finito, perfetto, della sua stessa
immaginazione”), ma l'impressione che ho avuto è stata quella
di uno sviluppo della trama non perfettamente omogeneo.
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