sabato 23 aprile 2016

Fëdor Dostoevskij – L’idiota



Tra Leonardo e Brunelleschi 
 

C’è uno scienziato chino sul microscopio del suo laboratorio, intento ad osservare un preparato. Ogni tanto regola la messa a fuoco dello strumento, cambia l’obiettivo, sposta di pochi millimetri il vetrino. Sbuffa, si stropiccia gli occhi e poi li alza verso il cielo. Non è soddisfatto, c’è qualcosa che manca.
Allora si alza. Va a cercare qualcosa tra gli scaffali, apre e chiude sportelli, rovista nei vari scomparti, poi estrae una boccetta di liquido colorato. Torna al microscopio, inforca gli occhiali, poi con una pipetta preleva con attenzione del liquido dal contenitore e ne lascia cadere una sola goccia sul preparato, quindi riprende ad osservare.
Ora finalmente va bene, e lo scienziato un po’ guarda attraverso le lenti del microscopio e un po’ trascrive su un taccuino quello che i suoi occhi vedono.
Lo scienziato si chiama Fëdor Dostoevskij, il preparato che sta osservando è l’umanità e la goccia caduta sul vetrino il principe Myškin.

Una goccia importante, una sostanza in grado di cambiare le carte in tavola, di attirarle a sé con una forza magnetica. Una goccia che si chiama bellezza.
“L’idea principale del romanzo è quella di rappresentare una natura umana pienamente bella. Non c’è niente di più difficile al mondo, e specialmente oggi. Tutti gli scrittori, non soltanto russi, ma anche tutti gli europei, che si sono accinti alla rappresentazione di un carattere bello e allo stesso tempo positivo, hanno sempre dovuto rinunciare. Giacché si tratta di un compito smisurato. Il bello è un ideale, e l’ideale – sia il nostro sia quello dell’Europa civilizzata – è ben lontano dall’essere stato elaborato.
Al mondo c’è stato soltanto un personaggio bello e positivo, Cristo, tantoché l’apparizione di questo personaggio smisuratamente, incommensurabilmente bello costituisce naturalmente un miracolo senza fine. (Tutto il Vangelo di Giovanni è concepito in questo senso: egli trova tutto il miracolo nella sola incarnazione, nella sola apparizione del bello.) Ma mi sono spinto troppo lontano. Dirò soltanto che tra tutti i personaggi umanamente belli della letteratura cristiana il più completo e perfetto è Don Chisciotte. Ma Don Chisciotte è bello unicamente perché è allo stesso tempo ridicolo.”
Così scrive l’autore in una lettera alla nipote Sofja Aleksandrovna Ivanova, datata gennaio 1868.
L’Idiota è quindi un grande romanzo sulla Bellezza: quella bellezza che attrae e respinge, troppo grande, troppo potente, troppo ingombrante per poter essere compresa davvero, Bellezza simile a un veliero sul quale ci si può imbarcare ma che non possiamo pensare di governare.
E il principe Myškin incarna questa bellezza. Un essere diverso da tutti gli altri, che vive in un mondo suo, dove le classi sociali, le convenzioni, il denaro non hanno nessuna importanza. Un uomo buono, sensibile, onesto, incapace di mentire, che agisce senza fare calcoli, che vede la bontà e la buona fede in tutti, che è attirato dalla sofferenza e che ama il suo peggior nemico. Un uomo che considera la compassione “la più importante e forse l'unica legge di vita di tutta l'umanità” al punto da portarla fino alle estreme conseguenze e che ha il dono di leggere nell’animo di quella gente che vorrebbe aiutare a vivere meglio (“scusate, principe, - dice ad un certo punto uno dei personaggi del romanzo - ma voi siete di una semplicità, di un'innocenza che neanche nell'età dell'oro, e nello stesso tempo, tutt'a un tratto, con una profondissima penetrazione psicologica, trapassate la gente da parte a parte, come una freccia”). Un uomo che in un mondo come il nostro è inesorabilmente destinato a soccombere.
Questo per quanto riguarda il contenuto. Da un punto di vista formale possiamo osservare come nell’Idiota si realizzi alla perfezione quella polifonia di cui parla Bachitn a proposito del romanzo dostoevskijano: Parfen Rogožin, Ganja Ardalionovic, Kolja, Ippolit e soprattutto Aglaja Epančina e Nastas’ja Filippovna… la personalità di ogni personaggio emerge attraverso dialoghi e interazioni che permettono di caratterizzarli in maniera compiuta.
Due paragoni mi ha fatto venire in mente la lettura dell’Idiota: quello tra la polifonia nella storia del romanzo e l’invenzione della prospettiva nella storia dell’arte, e quello tra lo “sfumato” leonardesco e l’attenzione che Dostoevskij dedica ai dettagli, alle contraddizioni, ai “doppi pensieri”, alla passione, al contrasto verità/bellezza, alle nuances dell’amore, alle mille pieghe dell’animo umano.

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