Homo hominis lupus/homo hominis deus
Un Wieringa sorprendente,
lontano anni luce dai fuochi d’artificio di Joe
Speedboat, confeziona qui un gran un romanzo partendo da un tema di triste
attualità, quello dei migranti. In Questi
sono i nomi due sono le storie che si alternano fino ad incontrarsi e poi
diventare una sola: le traversie di un gruppo di disperati che tentano
(credono) di fuggire da un non precisato paese dell’Asia seguendo il miraggio
di un vita migliore e la storia di Pontus Berg, commissario di polizia in un
posto di frontiera, anche lui alla ricerca di qualcosa: la sua identità, capire
chi è.
Interessante e
originale è il parallelismo tra le peripezie dei migranti e quelle degli ebrei
in fuga dall’Egitto, come a dirci che non c’è nulla di nuovo sotto il sole e
che i problemi dell’uomo che scappa dall’uomo continuano ad essere gli stessi.
Interessante è anche come Wieringa concentri l’attenzione sul fatto che i vari
personaggi del racconto, al di là dei bisogni materiali, sentono forte la
necessità di credere in qualcosa, di affidare a qualcuno (che sia una divinità
o un portafortuna) il ruolo di guida per le loro vite. Interessanti sono poi le
riflessioni sulle dinamiche comportamentali del gruppo, su come le difficoltà e
l’influenza dell’ambiente ostile facciano regredire l’uomo a livelli subumani,
quasi a ricordarci che i comportamenti animali sono una parte di noi che non
vogliamo vedere e che fatichiamo a tenere a freno, le stesse dinamiche che,
mutatis mutandis, ritroviamo anche nella descrizione delle società delle
repubbliche asiatiche post-sovietiche, dove domina la legge del più forte ed
imperano ingiustizia e clientelismo.
Questi sono i nomi è un libro sull’uomo, sulle sue domande che non trovano risposte e
sulla partita a scacchi che gioca con la vita, scopo della quale, per dirla con
le parole del rabbino Eder, “ sarebbe
condurre l’avversario in una selva oscura, quella in cui due più due fa cinque,
e il sentiero per uscirne è abbastanza largo solo per uno dei due”.
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