Astenersi depressi, distimici e borderline.
La pioggia gialla è un lungo monologo. La storia di un uomo che decide di legare il suo destino a quello del paese in cui ha sempre vissuto e che ora si va spopolando, firmando così la sua condanna a morte. Andrés de Casas Sosas rinuncia a rimettersi in gioco in un altro luogo, per cercare di mantenere viva la sua terra e i ricordi di chi l’ha abitata. È la scelta contro corrente di un uomo che ad un certo punto della vita smette di guardare avanti e inizia a guardarsi dietro e dentro. La solitudine diventa l’unica compagna ed è una compagna pericolosa perché con il tempo altera i suoi ricordi trasformandoli in fantasmi e se alla solitudine con il tempo ci si può anche abituare, non altrettanto si può fare con l’inquietudine che essa suscita. La memoria diventa un peso difficile da portare ma anche la sola certezza alla quale aggrapparsi, ed è una memoria che costringe Andrés de Casas Sosas a confrontarsi con un passato che non riesce ad accettare.
Il tempo trascorso in solitudine fa perdere al protagonista del libro i punti di riferimento, come una barca alla mercé delle onde l’uomo si trova a vivere in una specie di limbo sospeso tra realtà, memoria e sogno. È un nessundove nel quale vita e morte si confondono e così fanno ricordi, allucinazioni, fantasie ad occhi aperti e sogni notturni. Gli incontri del protagonista, veri o immaginati, sono sempre incontri muti, senza dialoghi, come se non riuscisse ad aprirsi agli altri e fosse condannato a vivere dentro di sé.
La pioggia gialla è un libro fuori dagli schemi: di silenzi e di sguardi più che di parole, di cose pensate più che di cose dette. Ma le parole sono importanti e Llamazares le usa con attenzione, scegliendole tra quelle più adatte ad evocare emozioni e riflessioni e collocandole sulla pagina in modo da comporre un ritmo scandito, attento a non correre mai troppo o troppo poco.
La pioggia gialla è un libro tristissimo.
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